Milano – In stand-by il progetto voluto dal Governo sul trimestre ‘anti-inflazione’. L’industria, come spiegato questa mattina (leggi qui), ha deciso di fare un passo indietro e di non sottoscrivere le condizioni proposte nella bozza del Mimit.
In una nota stampa congiunta, Centromarca e Ibc (Industrie beni di consumo), in rappresentanza dell’Industria, spiegano il perché. Tre, in particolare, gli aspetti valutati.
1. “La gran parte delle industrie è impegnata nella definizione di contratti di acquisto delle materie prime con prezzi che oscillano costantemente. A titolo di esempio, Nomisma, per le commodity agricole, su base indice Fao, registra le seguenti variazioni tendenziali (giugno 2023 rispetto gennaio 2020): zucchero +74%, cereali +26%, carne +14%, lattiero caseari +12%, olii vegetali +6%. Rispetto a gennaio 2021 il costo del vetro è cresciuto dell’88%, la carta del 65%, il pet del 37%. I costi logistici si mantengono alti”, spiega la nota. “La marginalità delle aziende si è deteriorata a causa del forte aumento del tasso di sconto. Il quadro complessivo non consente previsioni realistiche sulla dinamica dei conti economici e sulle linee delle politiche commerciali dei prossimi mesi. Un’azione di controllo dei prezzi, a prescindere da queste variabili e dalle differenti condizioni delle singole aziende, rischia di pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo (soprattutto delle Pmi) e la continuità dei fondamentali investimenti a presidio di qualità, sicurezza, sviluppo, occupazione e sostenibilità”.
2. “I bilanci industriali – prosegue il comunicato – registrano riduzioni dei margini, a conferma del fatto che, consapevoli della debolezza del potere d’acquisto delle famiglie, i produttori di beni di largo consumo hanno fatto quanto era in loro potere per trasferire con gradualità a valle gli extracosti anche incamerando negli anni scorsi contrazioni significative dei profitti. Nell’alimentare i margini per unità di prodotto hanno registrato una riduzione del 41,6%. L’Osservatorio Congiunturale Centromarca – Ref Ricerche evidenzia che lo scorso anno il 43,5% dei manager delle aziende alimentari e non food ha riscontrato profitti in diminuzione e il 6,2% ha prodotto in perdita. Nel 2022 le tensioni al rialzo dei costi, già in atto nel 2021, si sono accentuate. Per la media dell’industria del largo consumo, secondo elaborazioni di Prometeia, l’incremento è stato del 15,4%, superiore al manifatturiero. L’industria ha trasferito solo parzialmente i costi sui prezzi: in media d’anno, nel 2022, i prezzi al consumo del largo consumo sono aumentati meno del 10% (8,8% per alimentare e bevande). L’impegno delle aziende industriali nel contenimento dei prezzi è confermato anche dal fatto che nel 2022, a fronte di un impatto dell’inflazione che ha determinato una crescita della spesa complessiva delle famiglie pari a 446 euro mensili (rispetto al 2021, dato Istat) l’impatto del carrello della spesa stimato da Nielsen è stato di 35 euro”.
3. Da ultimo, concludono le due associazioni, “verifiche legali hanno appurato che la normativa Antitrust non consente a Centromarca e Ibc di promuovere presso le aziende associate gli impegni oggetto del protocollo. Ogni industria, nel rispetto della Legge, agisce in autonomia sia nel rapporto con fornitori e clienti sia nella definizione delle politiche commerciali. Un’intesa che ‘controlli’ i prezzi (anche al ribasso) costituirebbe un potenziale cartello, sanzionabile da parte del’Agcm. L’attuazione del contenuto del protocollo determinerebbe, inoltre, interferenze nelle relazioni di filiera e una distorsione della concorrenza tra le imprese, che competono tra loro sulla base di posizionamenti, margini e politiche di prezzo differenziate”.
Centromarca e Ibc si dichiarano infine disponibili, si legge nella nota, a sedersi a un tavolo di confronto con il governo e con la distribuzione con l’obiettivo “di affrontare a un tavolo condiviso e in modo organico le inefficienze presenti nella filiera del largo consumo che si traducono in costi per il consumatore finale”. Auspicando, al tempo stesso, una riduzione sensibile dell’Iva sui beni di consumo, ulteriori tagli al cuneo fiscale e azioni che portino la concorrenza nei settori in cui non è presente.