Milano – E’ avvenuto oggi, nel corso della 43esima presentazione della Congiunturale di Cosmetica Italia, il ‘debutto pubblico’ di Benedetto Lavino quale presidente reggente dell’Associazione (leggi qui). “Nonostante le nubi dello scenario attuale”, ha dichiarato, “l’industria del personal care made in Italy chiuderà l’anno con un fatturato previsto pari a oltre 13 miliardi di euro. Con quasi 7,5 miliardi provenienti dal mercato interno e quasi 5,6 miliardi dall’export“. Per una crescita prevista sul 2021 pari a +10,7%. Ma le buone notizie sembra riguarderanno anche il 2023, quando il giro d’affari potrebbe raggiungere i 14 miliardi di euro, con un aumento del 7,1%.
L’export va a gonfie vele
Le rilevazioni recenti, condotte da Cosmetica Italia una decina di giorni fa, hanno permesso di tracciare le esportazioni cosmetiche nei primi sei mesi del 2022. Dati che a luglio – in occasione della congiunturale – non erano ancora a disposizione, con performance quasi impensabili nel contesto difficile di questo anno. Invece l’export va a gonfie vele, con una stima a fine anno di un valore prossimo a 5,6 miliardi di euro (+15,2%). Il principale destinatario è il mercato Usa, che ha registrato un +44% con 330 milioni di euro. Seguito da Francia (297 milioni e +13,6%) e Germania (231 milioni in flessione del -0,6%). Performance straordinarie (anche in relazione al blocco pandemico precedente) arrivano dalla Cina: +85,9% con 80 milioni di euro. +54,5% per gli Emirati Arabi Uniti, che valgono 113 milioni. E +32,6% per la Polonia, con 115 milioni di euro.
L’impiego di energia per l’industria cosmetica
L’incidenza media dei costi di produzione sul fatturato dell’industria cosmetica, nel periodo tra il 2018 e il 2021, è stato stimato pari all’86%. La variazione dei costi per la fornitura di energia dallo scorso anno ad oggi è stata valutata dagli operatori del settore pari a +330%. Uno ‘shock energetico’ che da solo ha causato un aumento dei costi di produzione dei cosmetici pari al +4,2%. Rincari che hanno portato l’incidenza a una quota sul fatturato dell’87,3%, riducendo le marginalità del comparto.