Di Luigi Rubinelli

La tempesta perfetta non poteva infine risparmiare la filiera del cibo, anzi ha trovato proprio nelle catene di approvvigionamento globali uno dei suoi principali epicentri. Oggi il mercato italiano sembra manifestare una dinamica inflattiva dei prodotti alimentari lavorati prossima alla doppia cifra, ma ancora in ritardo rispetto ad altri Paesi europei (da noi un +10% a fronte del +13,7% della Germania o del +13,5% della Spagna). Allo stesso tempo in maniera inattesa, nonostante questa spinta dei prezzi, i volumi di vendita hanno tenuto (+7,8% primo semestre 2022 vs 2019), complice la calda e lunga estate italiana, il ritorno del turismo straniero e la capacità della distribuzione moderna di imporsi sugli altri canali di vendita specializzati. Il mercato italiano è però al momento l’unico a mantenere un trend positivo dei volumi (+ 0,5% contro -5,4% del Regno Unito, -3,7% della Germania, -2,3% della Francia e -1,3% della Spagna) e questa differenza come il ritardo all’incremento dei prezzi sembra presagire ad una inversione di tendenza imminente.

Pur di fronte a questo scenario non favorevole, la spending review degli italiani in modo anche sorprendente attivata su altri comparti per la prima volta da decenni non tocca il cibo. Sono 24 milioni e mezzo gli italiani che nonostante l’aumento dei prezzi non sono disposti a scendere a compromessi nelle loro scelte alimentari e nei prossimi mesi prevedono di diminuire la quantità ma non la qualità del loro cibo. Ritorna anche il cooking time sperimentato in lockdown; si passa più tempo nella preparazione dei pasti e ci si impegna a sperimentare nuovi piatti.

Ma forse la maggiore evidenza del nuovo valore assegnato al cibo dagli italiani è il sorprendente mancato ricorso ad un netto downgrading degli acquisti (-0,1% di effetto mix negativo nel primo semestre) che invece è stata la prima risposta alle difficoltà nelle precedenti crisi economiche. Probabilmente con il peggiorare della situazione gli italiani vi faranno nuovamente ricorso, ma attualmente il carrello non è più la miniera da cui attingere per finanziare altri consumi, ma un fortino da proteggere. Forse è questa una delle principali eredità del post pandemia. Al tempo stesso il cibo a cui non si intende rinunciare pare essere soprattutto quello più sobrio e basico, senza orpelli e sovrastrutture; l’italianità e la sostenibilità sono gli elementi imprescindibili che erodono mercato a altre caratteristiche in passato maggiormente ricercate. Così compaiono meno sulle tavole i cibi etnici, le varie tipologie di senza (senza glutine, senza etc), i cibi pronti e anche il bio pare subire una battuta d’arresto. La quota di italiani che segue uno stile alimentare biologico è diminuita del 38%. Le stesse marche leader sembrano sacrificabili, rispetto al 2019 hanno registrato una contrazione della quota di mercato passando dal 14,9% di quell’anno al 13,1% 2022 (-1,8 pp), mentre la MDD continua la sua avanzata, con una quota di mercato che nel 2022 sfiora il 30% (+2,0 rispetto al 2019).

Incognite per la grande distribuzione

Il 2022 (e forse ancor di più il 2023) potrebbe essere l’anno più difficile della storia della grande distribuzione organizzata in Italia. Da un lato, infatti, le imprese retail devono fare i conti con l’eccezionale rincaro dei listini industriali e l’esplosione del caro energia. Dall’altro dalle difficoltà della domanda finale e dalla necessità di attutire l’effetto sulla capacità di acquisto del consumatore. Ad oggi, infatti, i prezzi dei beni alimentari venduti dall’industria alle catene della Gdo sono cresciuti del 15% rispetto allo scorso anno (var % tendenziale luglio-agosto 2022-2021), mentre l’inflazione alla vendita nello stesso periodo ha fatto segnare un valore di poco superiore al +9% (il differenziale fra il prezzo all’acquisto e quello alla vendita segna un -5,7% a tutto svantaggio della grande distribuzione). E a schizzare in alto sono soprattutto i prezzi all’acquisto dei prodotti basici, così l’olio di semi segna un +40,9%, quello di oliva un +33,1% e ancora la pasta (+30,9%, la farina +25,4%). Contemporaneamente, dopo lo tsunami energia che si è abbattuto anche sulla grande distribuzione, i costi energetici che nel 2019 valevano l’1,7% del fatturato sulla base dei futures sull’energia si moltiplicheranno almeno per tre volte raggiungendo nel 2022 una incidenza del 4,7% e del 5,2% nel 2023.

Questo drammatico incremento dei costi è tanto più preoccupante se si considera che il retail alimentare è un settore strutturalmente a bassa redditività, dove piccole variazioni dei margini possono seriamente compromettere la tenuta dei conti economici. Basti qui ricordare che (dati Mediobanca) il Valore Aggiunto trattenuto in media dalle imprese della Gdo nel 2021 è stato pari a 14,7%, l’Ebitda del 5,3% e l’Ebit del 2,6%. Allo stesso modo ogni 100 euro spesi dal consumatore l’utile netto per i retailer è stato appena superiore ad 1,5 euro.

Per il resto, seppur il 2022 registra per la Gdo un lieve ritorno alle espansioni delle superfici, per lo più a discapito dei punti vendita di prossimità, è il discount a registrare ancora una volta la maggiore crescita mentre prosegue il declino del formato dell’ipermercato. E l’e-grocery che sembra aver perso quella spinta propulsiva, peraltro drogata dal lockdown, si mantiene su quote molto basse soprattutto se paragonate al resto d’Europa; nel 2021 si attesta su un 2,9% con previsioni 2030 che non superano il 6% a fronte di ben altro dinamismo in casa degli inglesi (dal 12% al 19%) o dei francesi (dall’8,6% al 16%).

Il commento dell’Ad Maura Latini

“E’ una partita decisiva quella che ci accingiamo a giocare in un anno che ha segnato la fine di molte certezze e la comparsa di più di un’occasione di inquietudine con cui facciamo i conti sia personalmente che come dirigenti di cooperativa. Nessuno di noi credo a inizio 2022 avrebbe potuto prevedere una situazione di tale complessità peraltro non solo destinata a durare, ma con buone probabilità a accentuarsi. E’ questo anche il tempo della responsabilità che come Coop abbiamo nei confronti dei nostri dipendenti, delle famiglie di soci e consumatori con cui quotidianamente ci interfacciamo. Noi di Coop abbiamo fatto una scelta di posizionamento proprio nel 2020 nell’anno della pandemia, l’abbiamo annunciata a maggio scorso e la stiamo attuando, pensiamo sia una scelta importante e vincente che si basa sul nostro prodotto a marchio: la migliore integrazione fra i valori di Coop, la sostenibilità e la convenienza”.

Il commento del Presidente Marco Pedroni

“Le imprese della distribuzione commerciale registrano costi dei prodotti e dell’energia in fortissima crescita e finora hanno contenuto gli aumenti dei prezzi al consumo delle famiglie; i bilanci e con essi la stabilità delle imprese possono andare in crisi; non chiediamo aiuti di stato, ma di mettere un tetto ai rialzi dell’energia e di sostenere la domanda interna dei consumi.

Come Coop abbiamo scelto di fare fino in fondo la nostra parte per difendere il potere di acquisto dei soci e consumatori senza abbassare la qualità e la sostenibilità dei prodotti; da qui la scelta di un forte e innovativo sviluppo della nostra marca, del Prodotto Coop, come faro della nostra offerta; i primi riscontri di questa scelta sono davvero incoraggianti”.

 

Fonte: Il Rapporto Coop 2022 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” è redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto di analisi di Nielsen e i contributi originali di Gs1-Osservatorio Immagino, Iri Information Resources, Mediobanca Ufficio Studi, Nomisma Energia, Npd.