Le kermesse di riferimento per il settore, Biofach e Vivaness, confermano scenari in chiaro scuro. Mentre continua la crescita dei cosmetici green.

Di Irene Galimberti

La ‘summer edition’ di Biofach e Vivaness (Norimberga, 26-29 luglio) non è stata particolarmente brillante. Eppure si è confermata un appuntamento importante per misurare il polso della situazione e trarre spunto per i mesi a venire.

La pubblicazione dei dati ufficiali a chiusura dell’evento internazionale dei prodotti biologici e naturali non ha fatto altro che confermare le impressioni già riportate la scorsa settimana (leggi qui). Dopo quasi due anni e mezzo di assenza, per l’organizzazione prevale la soddisfazione di essere tornati in presenza. Petra Wolf, membro del consiglio di amministrazione NürnbergMesse, ha dichiarato: “L’industria dei prodotti biologici e naturali è tornata al suo evento di riferimento internazionale e siamo felici per l’ottima risposta!”. I numeri, però, non reggono il confronto con l’edizione 2020, l’ultima tenutasi in presenza prima dello scoppio della pandemia (12-15 febbraio).

La prima differenza si nota già nel numero degli espositori: erano 3.792 prepandemia, provenienti da 110 nazioni su 12 padiglioni; mentre quest’anno erano 2.276 da 94 paesi (11 padiglioni). Poco più della metà, invece, i visitatori professionali nel 2022 rispetto al 2020. L’organizzazione ha comunicato più di 24mila presenze, in netto calo a confronto con gli oltre 47mila buyer del prepandemia. Stupisce però un dato: i paesi di provenienza sarebbero passati da 136 a 137. Insomma, un quadro che lascia qualche dubbio sul prossimo, ravvicinatissimo, appuntamento, con l’edizione 2023 che tornerà a Norimberga nel tradizionale periodo invernale, dal 14 al 17 febbraio.

Al di là dei numeri, però, vale la pena riconoscere quanto tra i corridoi di NürnbergMesse sia possibile scoprire novità di prodotto, confrontarsi, analizzare problematiche di mercato e studiare strategie vincenti. Se infatti la congiuntura attuale, come noto, risulta difficile per tutti, dai coltivatori ai produttori, dalla distribuzione al consumatore, è anche vero che molte aziende sono riuscite a mantenere una crescita costante, segno che il biologico e il naturale non sono – come sembrano dimostrare alcuni dati – sulla via del declino. Soprattutto se il prodotto biologico si presenta anche innovativo e offre valore aggiunto.

E questo vale soprattutto nel mondo del beauty, in cui i prodotti green stanno vivendo un momento magico. Secondo la società di ricerche Ecovia Intelligence, le vendite globali di prodotti naturali e biologici destinati al personal care hanno raggiunto i 12,5 miliardi di dollari nel 2021 (circa 11,9 miliardi di euro). Con ricavi complessivi in crescita del +5,4% sul 2020. Un trend confermato anche dal centro studi di Cosmetica Italia che invece, monitorando le vendite 2021 di prodotti bio ma anche sostenibili nel nostro Paese, rileva un valore di 2,7 miliardi di euro. Facendo segnare un aumento del 12,6% e arrivando a coprire una quota del 25% sul totale mercato cosmetico.

Ma non sono solo i prodotti a tingersi di verde. Come emerso anche tra le corsie di Vivaness, tutta la filiera beauty sta progressivamente adottando pratiche e tecnologie per ridurre il più possibile l’impatto ambientale. Emergono dunque soluzioni ‘zero waste’ come l’upcycling beauty (anche circular beauty), tecnica che recupera gli scarti (ad esempio dell’industria agroalimentare) per ricavarne ingredienti per i cosmetici, in linea con l’ormai consolidato trend dell’agribeauty, che prevede l’utilizzo di principi attivi da prodotti agricoli. Si interviene anche sulla riduzione dell’acqua, con i prodotti solidi o waterless, ma anche sul packaging. Un elemento, quest’ultimo, su cui puntare i fari, dal momento che, nel 2021, in Italia due cosmetici su cinque (pari al 39,5%) erano contraddistinti da claim riferiti a pack riciclabili, in materiali riciclati o rispettosi dell’ambiente. Il nostro Paese, anche in questo, è all’avanguardia, visto che la media mondiale si ferma al 28,6%.

Innovazione e sostenibilità, dunque, possono fare la differenza. Ma attenzione. Arrivano tempi duri per i ‘furbetti’ del greenwashing (leggi qui). Questa pratica, che cerca di far passare iniziative aziendali o prodotti come sostenibili quando in realtà non lo sono, è recentemente stata classificata come concorrenza sleale dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.