L’analisi della ricerca Ipsos-McKinsey di Gs1 Italy sui consumi. Molti gli elementi di novità. Coraggiose le indicazioni operative che nessuno aveva osato mai proporre. Una pecca: il non riconoscimento dei discount.

Di Luigi Rubinelli

Mettete insieme l’Ipsos di Nando Pagnoncelli (e di tutti i suoi colleghi) e la McKinsey di Gemma D’Auria (con i suoi colleghi), fate fare lo scroll in modo sostenuto al GS1 Italy di Francesco Pugliese (e tutti i suoi colleghi a cominciare da Marco Cuppini) e ne esce una ricerca sui consumi con anche indicazioni operative che nessuno aveva osato mai. D’altronde gli attori sono di caratura e metterli assieme intorno a un tavolo è molto, molto costoso e non tutte le aziende se lo possono permettere. Bene ha fatto GS1 Italy a renderla pubblica, un fatto epocale anche questo.

Qui sotto riportiamo le sette raccomandazioni per l’Industria e la Gdo della McKinsey a fronte dei dati provenienti dalla ricerca etnografica fondativa (nel senso che determina un cambiamento profondo) di Ipsos. Ogni capitoletto ha una introduzione e un passaggio delle azioni Da (il passato) A (il futuro).

Poi proviamo a commentarla con il nostro punto di vista.

  1. La scelta dei partner con cui lavorare

La complessità gestionale legata a un’offerta sempre meno standardizzata e altamente variabile tra i territori e all’interno degli stessi impone nuovi modelli di collaborazione tra Industria e Distribuzione finalizzati alla creazione di ecosistemi che evolvano rapidamente e, allo stesso tempo, con orizzonte di lungo periodo.

DA

Un contesto di limitati scambi di informazioni, con costante contrapposizione di interessi e rapporti puramente transazionali con numero elevato di partner, caratterizzati da pianificazione congiunta limitata e prevalente di breve periodo.

A

Uno sviluppo di proposte di valore integrate e che si adattano a persone e territori, realizzate dopo aver identificato un numero limitato di partner sinergici con cui lavorare su piattaforme di innovazione e strategie di collaborazione di lungo periodo.

  1. Prodotti più veloci e format più flessibili

La necessità di indirizzare la crescente fluidità e poliedricità dei consumatori, che si manifesta anche in minore fedeltà ai marchi e alle insegne, richiede un nuovo paradigma di agilità e rapidità dei cicli di innovazione e in generale modelli più efficaci ad intercettare questi nuovi bisogni in maniera puntuale e dinamica.

DA

Per quanto riguarda l’Industria, tempi di sviluppo prodotto superiori ai due anni, con criteri di scelta dell’offerta improntati principalmente dalla necessità di standardizzazione, per la Distribuzione invece una centralità del concetto di superficie nel disegno dei formati.

A

Per l’Industria, tempi di sviluppo ridotti drasticamente (6-9 mesi), con approcci ‘snelli’ per prototipazione e test di prodotto, mentre per la Distribuzione l’adozione di formati modulari e flessibili, variabili sui territori e variegati in termini di esperienze disponibili.

  1. E’ la fine del mass market e delle economie di scala

La necessità di conquistare selezionati gruppi di consumatori dalle attitudini e desideri specifici richiede una drastica messa in discussione della standardizzazione su larga scala e l’introduzione di modelli di ‘mass personalization’.

DA

Una focalizzazione sul maggior bacino di utenza possibile per il lancio di nuovi prodotti, con grande focus sulle economie di scala per la massimizzazione del ritorno dell’investimento nel minor tempo possibile.

A

Uno sviluppo di prodotti e formati mirati a selezionate community, allo scopo di intercettare bisogni specifici e aumentare la fidelizzazione, veicolato tramite modelli di comunicazione altamente personalizzati.

  1. La tecnologia e la lunga customer journey

Un mercato sempre più frammentato e volatile moltiplica in maniera esponenziale i potenziali punti di contatto su cui muoversi per intercettare i consumatori più rilevanti per marchi e distributori, rendendo l’utilizzo di tecnologie e canali digitali lungo tutta la consumer journey un elemento imprescindibile per il ‘successo’ di marchi e insegne.

DA

Una gestione dei canali digitali alla stregua di un ulteriore formato in aggiunta a quelli fisici, con focus prevalente dei servizi digitali sul momento d’acquisto.

A

Una introduzione di servizi pre/post acquisto anche non direttamente correlati al ‘core business’ in ottica di ‘ecosistema’, sempre integrati nelle esperienze fisiche/digitali e con possibilità di includere innovativi servizi di terzi grazie alla presenza sulla rete fisica.

  1. I dati e il ruolo della multidisciplinarietà

La crescente mole e complessità dei dati disponibili richiede uno sforzo senza precedenti nello sviluppo di competenze analitiche che dovranno essere al centro delle strategie di crescita delle aziende del settore in maniera imprescindibile.

DA

Un approccio alla segmentazione fortemente basato su variabili sociodemografiche, con limitata applicazione di modelli analitici avanzati, soprattutto al di fuori guardando all’intera catena del valore, frenati nella comprensione e nello sviluppo delle competenze analitiche per l’accentramento esclusivo presso funzioni centrali e tecniche.

A

Un’attitudine a prendere decisioni aziendali basate su modelli avanzati di comprensione dei consumatori, coadiuvati da approcci analitici avanzati su tutta la catena del valore aziendale e da una riqualificazione delle competenze analitiche in maniera trasversale, con meccanismi di ‘osmosi’ tra funzioni tecniche e di business.

  1. Meglio scegliere la filiera

La possibile parcellizzazione dell’offerta invita a ripensare i modelli di selezione e gestione degli investimenti al fine di garantire i livelli di produttività degli investimenti e la remunerazione lungo tutta la filiera.

DA

Un criterio di economicità sostenuto principalmente dalle economie di scala e dai conseguenti ampi volumi necessari, con investimenti analizzati con modelli compartimentati lungo la filiera, senza considerare impatto trasversale.

A

Una adozione di metodi analitici di nuova generazione per comprendere in maniera più granulare impatti e dinamiche di tutti i fattori in gioco durante il ciclo di investimento, inclusi modelli di produttività degli investimenti che guardino all’intera filiera.

  1. Ci vuole più rapidità nel trasformarsi

La mutevolezza e transitorietà dei tratti distintivi sia nel breve che nel lungo periodo richiedono agli operatori del settore una costante capacità di reinventarsi per essere vicini ai bisogni dei consumatori, con modelli organizzativi che fanno della flessibilità un fattore competitivo chiave.

DA

Una prevalenza di modelli decisionali e operativi altamente centralizzati e rigidi, caratterizzati da processi di trasformazione lenti e subordinati alla quotidianità aziendale.

A

Una diffusione di modelli decisionali e operativi distribuiti e focalizzati sulla rapidità di trasformazione, uniti a modalità di lavoro agili, multidisciplinari e con cicli di innovazione e progettuali rapidi e iterativi.

 

IL COMMENTO

Il titolo della ricerca e della giornata di presentazione è: ‘La spesa e gli italiani, scenari e impatti sul sistema Paese’. Nella tavola rotonda che è seguita alla presentazione della ricerca erano presenti: Alessandro D’este, presidente Ibc e Ad Italia di Ferrero; Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad; Aldo Sutter, Ceo di Sutter; Maniele Tasca, general manager Gruppo Selex.

Si è parlato poco della ricerca Ipsos, un po’ di più delle raccomandazioni di McKinsey e molto dei rapporti industria-distribuzione. Questi ultimi appaiono, francamente, cristallizzati, perché tutti si dicono d’accordo sulla situazione internazionale, sulle materie prime, sui prezzi… ma poi ognuno esprime le posizioni di sempre, poco concilianti con quelle degli altri, soprattutto non esprimono quelle delle filiere.

Pagnoncelli ricorda l’economista Remo Bodei che in forte anticipo ha parlato del consumatore come dell’Io patchwork con conseguenti comportamenti ambivalenti, contraddittori, di multiappartenenza, proprio come la ricerca rivela. Il suo collega Enzo Risso, il curatore operativo della ricerca di Ipsos, ricorda che il consumatore acquista per affinità e vuole soluzioni ai suoi desideri, da qui la community of sentiment e le affinità del consumatore per le attitudini e le passioni.

Quella dei territori è una buona intuizione. Già qualche anno fa NielsenIQ aveva riscritto i suoi campioni di ricerca, mettendo in luce proprio le nuove opzioni emerse leggendo il territorio. Li lega soltanto la spesa come routine, più o meno frequente e omnicanale, che rimane un rito dove il consumatore esprime sé stesso e vuole essere riconosciuto come tale. In pratica, come dice il filosofo e sociologo Edgar Morin, per capire la complessità bisogna analizzare le specificità.

Emerge il ruolo della tradizione, in forme diverse a seconda dei cluster.

Interessante l’affermazione di Pugliese: “Il retailer deve scegliere l’industria fornitrice a seconda dei territori e dei formati dove il prodotto deve essere venduto. Non si può più vendere tutto a tutti”. È un cambiamento di paradigma radicale. Sottolinea Alessandro D’Este, citando Mediobanca, che il 25% della Gdo non è profittevole e ritornando alle raccomandazioni di McKinsey aggiunge: “Dobbiamo passare dai troppi dati a disposizione alle informazioni che ne derivano e alle azioni intraprese di conseguenza”. Ricorda Maniele Tasca che la miglior misurazione oggi è ancora la frequenza di acquisto.

Detto con franchezza dalla lettura veloce dei dati presentati, che invece sono ben rappresentati nella ricerca Ipsos, bisogna tenere distinti i comportamenti di acquisto da quelli di consumo, seppur in presenza del ‘super Io’ del consumatore. E soprattutto, la prossima volta, invitate anche i discounter, magari Lidl che lunedì 27 giugno per festeggiare i 30 anni in Italia invita a discuterne: il ministro Stefano Patuanelli, il professore della Bocconi Maurizio Dallocchio, e il ministro Luigi Di Maio, giusto per parlare di branding, e come si fa corporate branding. Altro che discount brutti e cattivi. Ma è solo il nostro parere personale.