Il presidente del Consiglio blocca il cashback per sei mesi. Il piano non combatte l’evasione. Danneggia i poveri. E favorisce i ricchi. Esattamente quello che scrivevamo lo scorso dicembre.
Di Angelo Frigerio
Dicembre 2020: il nostro Paese, come il resto del mondo, è ancora alle prese con la pandemia. Ma, al posto di pensare a come risolverla, il Governo, sotto la spinta dei 5Stelle, vara il Piano Cashless. A partire dall’8 dicembre vengono attuate una serie di misure volte a ridurre, se non eliminare completamente, l’uso del denaro contante e quindi spingere le persone verso un futuro senza cash. Tutto questo per combattere l’evasione fiscale. Tutta la stampa di regime e non, tranne rarissime eccezioni, esalta l’operazione. Noi no. In una serie di articoli dal titolo ‘Il cashless che ti fa fess’ elenchiamo tutte le criticità della manovra. Non serve a sconfiggere l’evasione. Va a tutto vantaggio dei ricchi che hanno la carta di credito e si possono permettere di spendere. Danneggia i commercianti. Ma soprattutto fa ingrassare le banche. Che vedono così aumentare la raccolta di liquidità e diminuire i costi di gestione del contante. Non solo. Lucrano anche con i costi di gestione del Pos e delle commissioni pagate da commercianti, ristoratori e bar. Chi ci perde? La povera gente. Scrivevamo: “Ma pensate veramente che le persone che fanno la fila al Banco Alimentare o ai punti di smercio della Caritas potranno permettersi una carta di credito? Quanti sono i nuovi poveri in Italia? Cinque milioni, tutti pronti a fare il cashback?”.
A distanza di quasi sei mesi la Corte dei Conti boccia il piano. Queste le sue osservazioni: “Una prima analisi sulla gestione delle misure volte a favorire l’uso della moneta elettronica ha fatto emergere l’esistenza di criticità e limiti nell’esperienza finora maturata”. Una fotografia che evidenzia “enormi difficoltà” nel monitorare i reali effetti economici e tributari della misura. Nel mirino della magistratura contabile, soprattutto le mancate distinzioni tra i beni e i servizi oggetto delle transazioni e i soggetti che rendono la prestazione. Per evitare l’evasione fiscale, la Corte auspica “una soluzione che privilegi i pagamenti verso operatori medio piccoli. Prevedendo un incentivo differenziato”. Troppo basso, invece, il numero minimo di operazioni richieste nel semestre per il rimborso. Quanto al super cashback per contenere gli abusi, la magistratura contabile ritiene “opportuno limitare il numero di operazioni effettuabili con lo stesso operatore nell’arco della medesima giornata. Anche se con carte diverse. Limitando in questo modo anche il probabile frazionamento artificioso degli acquisti”.
In questi giorni, è il premier Draghi a dire la sua. Sospendendo la misura per sei mesi. Adducendo motivazioni che ricalcano quanto avevamo scritto in dicembre. “Il cashback ha un carattere regressivo ed è destinato ad indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori”, avrebbe detto Draghi in Consiglio dei ministri, come spiegano fonti di Palazzo Chigi. I dati gli danno ragione: la maggiore concentrazione dei mezzi alternativi al contante si registra tra gli abitanti del Nord e, più in generale, delle grandi città, con un capofamiglia di età inferiore a 65 anni, un reddito medio-alto e una condizione diversa da quella di operaio o disoccupato. La misura accentua la sperequazione tra i redditi, favorendo le famiglie più ricche, determinando un effetto moltiplicativo sul Pil comunque inferiore rispetto al costo. Inoltre, non esiste alcuna obiettiva evidenza della maggiore propensione all’utilizzo dei pagamenti elettronici da parte degli aderenti al programma. Quasi il 73% delle famiglie già spende tramite le carte più del plafond previsto dal provvedimento. In media, le famiglie più povere dovrebbero infatti aumentare la loro spesa con carte di quasi il 40%, mentre quelle più abbienti solo dell’1%. Insomma, ancora una volta avevamo ragione. Grazie Draghi e Frigerio for President…