Fiere sì, convegni no. Tra le novità del Dpcm, firmato dal premier Conte il 18 ottobre, c’è una mazzata al settore, già duramente provato dall’emergenza sanitaria. Settore che, tra l’altro, si muove da sempre in sinergia con il comparto fieristico. Come abbiamo potuto verificare anche nelle poche manifestazioni post-pandemia, tra cui la recente edizione di Sana, a Bologna Fiere. O ancora, tornando all’epoca preCovid, tutti ricordiamo gli eventi inaugurali e i numerosi workshop su dati, trend di settore e scenari futuri all’interno delle tante manifestazioni sul territorio italiano. Con autorevoli analisti, in dialogo con il mondo imprenditoriale e politico, in grado di fornire informazioni sempre preziose agli operatori.
Ma ora, con il Dpcm in vigore fino al 13 novembre, cambia tutto. Così recita il testo, ai commi quattro e cinque dell’articolo uno: “Sono vietate le sagre e le fiere di comunità. Restano consentite le manifestazioni fieristiche di carattere nazionale e internazionale, previa adozione dei protocolli validati dal Comitato tecnico scientifico. […] Sono sospese tutte le attività convegnistiche e congressuali, ad eccezione di quelle che si svolgono a distanza; tutte le cerimonie pubbliche si svolgono nel rispetto dei protocolli e linee guida vigenti e a condizione che siano assicurate specifiche misure idonee a limitare la presenza del pubblico”. La normativa mette alle corde un settore, quello della convegnistica, che genera un indotto di 64,7 miliardi di euro, con un impatto diretto sul Pil di 36,2 miliardi di euro all’anno.
A rendere più oscuro il quadro c’è poi la scelta di cancellare all’ultimo gli eventi in presenza. Nella bozza circolata domenica, infatti, i convegni erano consentiti, per essere poi depennati nella versione definitiva. Non si sa bene per quale ragione si possa andare in piscina o in palestra, ma non accedere a una sala con la mascherina, dopo aver igienizzato le mani e misurato la temperatura. E, per di più, sedendosi distanti l’uno dall’altro.
Temendo la cancellazione in extremis, Aefi (associazione che riunisce 40 operatori fieristici) si era fatta sentire nel fine settimana, tramite il presidente Maurizio Danese: “Siamo sconcertati dalle indicazioni del Cts che suggerisce la limitazione temporanea alla fruizione di eventi a grande aggregazione di pubblico, tra cui fiere e congressi. Le fiere hanno protocolli molto rigidi in materia di salute e sicurezza, validati dallo stesso Cts, che vengono rispettati in ogni fase della manifestazione, compresi allestimenti e disallestimenti”.
Nei giorni scorsi, alla luce del ‘salvataggio’ delle fiere ma non degli eventi, diverse associazioni, tra cui Confcommercio, Federalberghi e Federcongressi, hanno diffuso una nota congiunta in cui si legge: “I centri congressi, gli alberghi e tutta la filiera connessa all’organizzazione dei congressi hanno investito in sistemi di sanificazione, si sono dotati e applicano protocolli di sicurezza ancora più rigidi di quelli stabiliti nelle ‘Linee guida per la riapertura delle attività economiche, produttive e ricreative’ approvate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome. Prevedere poi che in una location sia possibile svolgere attività di spettacolo, fieristica, o una manifestazione sportiva in presenza di pubblico ma non un’attività ‘convegnistica’ appare incomprensibile e certamente discriminatorio nei confronti dei soli organizzatori congressuali e di eventi. La chiusura dei congressi mette in definitivo lockdown un settore che oggi ha già cancellato più della metà degli eventi previsti per il 2020 e che, privato della possibilità di programmazione, non ha nessuna possibilità di lavorare anche nel 2021”.