Giugno 2024: uffici di una importante catena di distribuzione del Nord Italia. Il direttore generale e il responsabile risorse umane stanno selezionando dei candidati per il ruolo di cassiere/a in un supermercato della zona. Fra i primi, si presenta un aitante giovanotto. Dopo aver spiegato le mansioni e la retribuzione chiedono al candidato se ha domande da rivolgere. “Una sola”, precisa. “Ma voi fate lo smart working?”.

Al di là della follia intrinseca della domanda, che denota un’ignoranza crassa, l’aneddoto mi permette di introdurre un argomento interessante: i giovani d’oggi e la loro posizione nei confronti del lavoro.

Anch’io, nel mio piccolo, faccio selezione del personale. E ho visto anch’io: “Cose che voi umani…”, tanto per citare Blade Runner. Ragazzi/e che vengono ai colloqui con abbigliamenti improbabili, piercing al naso e alle orecchie, spesso in ritardo. La stragrande maggioranza vanta curriculum vitae di tutto rispetto, talvolta con votazioni di laurea molto alte. Di fronte alla classica domanda: “Ma sai scrivere?”, in molti decantano collaborazioni a giornali locali (i peggiori) o a blog di vario genere e tipo. Salvo poi dimostrarsi assolutamente incapaci di mettere insieme un pezzo di 800 battute. Rilevo purtroppo anche una grande ignoranza rispetto a recenti fatti storici. Quando parlo di Ddr e Stasi, come pure di Pol Pot o dei colonnelli in Grecia, vedo facce che denotano uno stupore come quello di Don Abbondio di fronte al dilemma: “Carneade, chi era costui?”.

Una cultura di base omnicomprensiva è fondamentale per chi vuole diventare giornalista.

Altra mia domanda classica è poi: “Lei è curioso/a?”. La stragrande maggioranza pensa che sia una dote negativa. Al contrario è il fondamento dell’aspirante giornalista. Se non c’è voglia di capire, comprendere, approfondire certi fatti, meglio lasciar perdere e dedicarsi ad altri mestieri.

Ritornando ai curriculum vitae, presto molta attenzione alle note al contorno: ovvero se esercitano sport o fanno attività no profit. Ricordo un ragazzo che mi scrisse che faceva il capo dei chierichetti in parrocchia. Cercavamo un addetto alla reception, che gestisse il magazzino delle riviste, che le distribuisse nel corso delle fiere di settore. Lo presi al volo ma poi si licenziò durante il Covid. La madre non voleva che si vaccinasse…

E qui s’innesca un altro grande problema nel problema: i genitori. Spesso pensano di avere allevato dei piccoli geni. Dei Pico della Mirandola che però non vengono compresi. Quindi se il ragazzo, malgrado gli ottimi voti di laurea o un prestigioso master, non è portato per un determinato mestiere, devono prenderne atto. E invece le filippiche contro i datori di lavoro che non capiscono il ragazzotto o la ragazzotta si sprecano.

D’altra parte ci troviamo di fronte alla generazione dell’aperitivo. Li vedi che alle 17.30 sono già “in sbatta” perché gli amici o la ragazza non hanno ancora fissato l’appuntamento al bar per lo spritz. Così la vita è un eterno rincorrere il momento topico della giornata. Il lavoro è solo un’appendice, fra l’altro scomoda e pallosa. Non è mai un momento in cui ci si gioca, ci si sporca le mani, ci si mette la faccia. Vivono in una sorta di Isola di Laputa (vedi Jonathan Swift), ricca di persone magari colte ma assolutamente prive di senso pratico, fuori dal mondo.

Tanto, comunque, c’è la mamma o il papi che li tutelano. E così vediamo quarantenni che ancora vivono con i genitori. Felici e beati. Senza problemi di affitto, spese per l’alimentazione o altro. Per cui lo stipendio va tutto in aperitivi, cene e apericene, week end al mare o in montagna, vacanze esotiche.

Per fortuna il quadro non è così drammatico. Ci sono ancora i bravi ragazzi e le brave ragazze. E lo dico osservando, con attenzione e rispetto, la nostra redazione. Ragazze/i che vedono nel lavoro la possibilità far emergere le loro competenze e le loro attitudini. Che vogliono tagliare il cordone ombelicale che li lega ai genitori e mettere su famiglia. Magari anche fare dei figli.

Impresa, quest’ultima, non certo facile. E qui lo Stato latita in maniera drammatica.

Angelo Frigerio

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