Un fenomeno in crescita sia nelle grandi città che nei piccoli centri. Con alcune categorie più appetibili di altre. Intervista esclusiva a Daniele Colantonio, corporate security director di Penny.

Di Andrea Dusio

Nel weekend scorso ha avuto vasta risonanza la notizia del sequestro operato a Roma, nel mercato clandestino di Tor Sapienza, con 600 chili di merce individuata. Il sospetto è che venga in gran parte da furti commessi in Grande distribuzione e nelle mense scolastiche. Abbiamo intervistato Daniele Colantonio, corporate security director di Penny per comprendere il fenomeno dei furti in store.

È possibile misurare l’entità di questo fenomeno?

In tema di furti, noi rileviamo gli ammanchi inventariali, che sono cosa diversa dalle differenze inventariali. Non si tratta cioè di scarti determinati dalla nostra gestione per ragioni commerciali o di scadenza del prodotto, ma di discrepanze tra la giacenza contabile prevista dal sistema e quella che invece è presente fisicamente a scaffale. Possiamo certamente dire che l’impatto dei furti è un trend in crescita. Si concentra su alcune categorie di prodotto, specialmente in Gd: scatolame a più alta fascia di prezzo, come può essere il tonno, ma anche caffè, prodotti di cosmetica di marchio e anche una parte dei freschi.

Questi furti, oltre a generare un danno economico per la vostra azienda, che ripercussioni hanno?

Spesso possono comportare indirettamente anche un rischio per il consumatore. Chi acquista nei mercati illeciti prodotti che nei nostri punti vendita sono soggetti a un regime di conservazione perché deperibili incorre in questo pericolo. Parliamo in particolare di tutti i formaggi stagionati che hanno un certo valore, come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, ma anche del salmone. Sono questi gli articoli maggiormente rubati, perché ovviamente hanno un maggiore indice di appetibilità in un contesto esterno. Possono anche essere utilizzati in cucine o laboratori, e non solo essere venduti in canali commerciali secondari.

Come vi difendete dai furti?

Abbiamo servizi di sicurezza tradizionali dedicati al punto vendita che coprono o fasce orarie più delicate, oppure quelle dove vi è un maggiore afflusso di clientela. L’addetto alla sicurezza è ancora l’elemento che garantisce la maggior deterrenza.

Con quali strumenti integrate questa presenza?

Nel corso degli anni abbiamo dovuto introdurre strumenti che ci permettessero anche di scalare i costi del sistema di sicurezza in termini di efficientamento economico. Abbiamo implementato innanzitutto un sistema di barriere antitaccheggio, dove la protezione, una sottile etichetta, viene integrata all’interno del packaging del prodotto. Tramite un coinvolgimento di altre funzioni come gli acquisti, la logistica e anche la direzione tecnica, abbiamo selezionato la cernita dei prodotti top dei furti e attraverso degli accordi con i fornitori abbiamo fatto sì che già nel processo produttivo venga implementata l’etichetta antitaccheggio.

Esiste una tipologia di furti più strutturati. Come li contrastate?

I furti ‘grab and run’, (‘arraffa e scappa’), sono quelli che producono il maggior danno. Vengono messi in atti da una o più persone organizzate, che riempiono zaini, carrelli, passeggini. Non transitano regolarmente dalla parte della classe. Fuggono o dalle porte d’uscita di emergenza che sono regolarmente allarmate ma che non possono essere chiuse, oppure dalle aree adibite all’ingresso della clientela. Noi abbiamo un sistema di videosorveglianza largamente diffuso nei nostri punti vendita, regolarmente autorizzato, installato e connesso a una centrale di vigilanza. Si tratta di telecamere installate ben in vista, in presenza di segnalazioni della loro presenza, in ottemperanza anche alla normativa vigente in tema di privacy. Nel momento in cui l’istituto di vigilanza rileva che è in corso un tentativo di furto, a quel punto avvisa il personale o l’operatore sicurezza.

Dove si concentrano i furti, per area geografica, e per categoria di prodotti?

Al Nord, come ammanchi inventariali soffriamo un po’ di più. Ma sfatiamo un mito. I furti non avvengono solo a Roma o Milano, e non necessariamente nei quartieri difficili. Sono spalmati allo stesso modo nelle grandi città e nei piccoli centri. Quanto alla tipologia di prodotti, caffè e cioccolato sono delle ‘new entry’ e vanno di pari passo con l’aumento esponenziale del prezzo. Sicuramente a livello di grocery il tonno, o comunque carni in scatola, tutto ciò che è inscatolato a una fascia di prezzo più alta e magari ha utilizzi più disparati. Poi deodoranti e cosmetica, ma spesso viene rubato anche l’alcol puro, perché viene utilizzato per la composizione di altri prodotti.

Si registrano anche episodi di furti da parte di dipendenti o collaboratori esterni?

L’infedeltà interna è fisiologica in ogni azienda e lo è dalle banche al retail, questo è chiaro. Un deterrente importante è affidare a persone di alto profilo la regia dei negozi. Ogni direttore gestisce un’azienda da 8/9 milioni di euro. Ha quindi un forte senso di responsabilità. Per noi di Penny il fenomeno dell’infedeltà interna non ha rilevanza statistica, però indubbiamente esiste. Così come esiste una serie di pratiche che aiutano a contenerlo ai minimi. Ad esempio, se un dipendente fa la spesa, la batte un altro collega, se consumi qualcosa all’interno del negozio hai il relativo scontrino siglato dal collega. Sono best practice che si attuano ormai a qualsiasi livello di categoria merceologica, e contribuiscono a mantenere un clima sereno nel punto vendita. C’è poi la questione delle aziende prestatrici di servizi. Si pensi a una nuova apertura, a quante persone esterne coinvolge. È chiaro che mitigare il rischio vuol dire in questo senso pensare a procedure che aumentino il livello di sicurezza ma non incidano negativamente sull’efficienza.