“Direttore, c’è un ufficio stampa al telefono”: è la comunicazione che, quasi tutti i giorni, arriva in redazione. Ma cosa vogliono? Semplice: hanno lanciato un comunicato stampa ed “esigono”, con le belle maniere, che venga pubblicato. E siccome Beauty2Business/Home Care è leader del settore, come pure tutte le nostre riviste collegate, non può certo mancare nella loro rassegna. Che è poi quella su cui verranno giudicati, e pagati, dal cliente. Ci fosse il vice questore Rocco Schiavone, il personaggio interpretato nell’omonima serie Tv da Marco Giallini, la definirebbe: “Una rottura di coglioni al nono livello”. Ma analizziamo con attenzione il mondo che ruota intorno agli uffici stampa. Laddove, accanto a professionisti seri e preparati, c’è una giungla di improvvisati e scappati di casa. Cominciamo dal comunicato stampa, l’oggetto del desiderio da parte del cliente. Che, non volendo pagare la pubblicità su questo o quel media, vuole che la notizia del suo nuovo prodotto o altro, esca con la maggiore visibilità possibile. E qui casca l’asino, nel vero senso della parola. I comunicati stampa che riceviamo sono a volte illeggibili, con errori di vario genere e tipo. Spesso poi vengono ‘richiamati’. Ci si accorge di uno o più errori solo dopo aver lanciato il comunicato facendo così scattare una mail successiva che ti dice di bloccarne la pubblicazione, in attesa di un nuovo testo. Di seguito la mail di un ufficio stampa che parla di questo: “Reinviamo il comunicato stampa perchè è stato corretto un piccolo refuso. Si chiede di scestinare il precedente e di tener conto della versione in allegato”. Ho i capelli grigi e sono un baby boomer, ma il verbo ‘scestinare’ non l’avevo mai sentito…

Dopo l’invio del comunicato stampa c’è la fase due. Si controlla se è stato pubblicato, altrimenti cominciano le telefonate ai giornalisti, molto gentili per la verità (ci mancherebbe altro). A volte però la sudditanza nei confronti dell’azienda che ha commissionato la comunicazione diventa schizofrenica. È successo a noi poco tempo fa. Arriva in redazione il solito comunicato stampa. È di una società che produce rotoloni e dintorni. È cambiata la governance, ci sono spostamenti di ruoli e altro ancora. La nostra Elisa scrive la notizia e la pubblica ma non cita la dichiarazione dell’amministratore delegato. Chissenefrega, non è importante. Si scatena l’inferno. Il senior account manager Italy di una multinazionale della comunicazione, l’agenzia stampa dell’azienda, telefona in redazione e parla di “gravissimo errore” chiedendo la sostituzione di un passaggio nella news. In redazione s’interrogano e poi acconsentono. Ma il senior account manager Italy non si ferma qui. Mi contatta al cellulare. È mercoledì pomeriggio e sono con le mie nipotine. Vivaddio: una volta tanto insieme, mi vedono raramente, tanto che mi definiscono non il nonno ma il marito della nonna…

Ascolto le sue geremiadi e, siccome cerco sempre di aiutare gli altri, chiamo in redazione e chiedo di inserire nella notizia anche la dichiarazione dell’amministratore delegato. Mi dicono che il senior account manager Italy ha già chiamato e ha parlato di “gravissimo errore”. M’incazzo come un puma. Gli mando una mail stizzita e gli chiedo le scuse. Lo fa ma poi, in una mail successiva, si produce in una lezione di giornalismo segnalando come si sarebbe dovuto scrivere la notizia… Vi lascio immaginare com’è finita la storia…

Poi c’è la fase tre, ovvero il conteggio della notizia o articolo. Si chiedono i listini della pubblicità e l’agenzia fa i calcoli. La notizia vale tot, l’articolo tot altro e così via. Per dire poi al committente: “Ha visto quanti soldi ha guadagnato con noi… Ribadisco un concetto: non tutti gli uffici stampa sono così. Anche perché hanno una loro funzione, che è quella di informare in merito all’uscita di nuovi prodotti, al lancio di iniziative, ai cambiamenti di governance, ad acquisizioni di aziende e altro ancora. Noto però un progressivo decadimento della professionalità. Si è superato un limite, una linea di demarcazione fra il giornalista e l’addetto stampa. In cui il secondo, in una logica di servilismo nei confronti del committente, tende a far sì che il primo si adegui a una narrativa aziendale bolsa e ipocrita: “È tutto bello. Siamo i primi sempre. È tutto buono quello che facciamo”. Non è così. Le marchette troppo spinte fanno male a tutti. All’azienda, alle agenzie, ai giornali. Forse un po’ di misura non guasterebbe.

(1.Continua)

Angelo Frigerio

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