L’associazione dei retailer britannici avanza una cospicua richiesta di risarcimento danni. Il colosso dell’e-commerce sarebbe responsabile, secondo le accuse, di aver utilizzato illegalmente i dati in suo possesso e manipolato la Buy Box.
Di Annalisa Pozzoli
È la più grande azione collettiva mai intrapresa dai rivenditori del Regno Unito. A presentarla, l’associazione di categoria British Independent Retailers Association (Bira), presso il Competition Appeal Tribunal (Cat) di Londra, un organo giudiziario specializzato in diritto, economia, affari e contabilità, la cui funzione è quella di dirimere casi che coinvolgono questioni di concorrenza o di regolamentazione economica. Sul banco degli imputati Amazon, che, secondo le accuse, dall’ottobre 2015 ad oggi avrebbe utilizzato i dati dei retailer britannici che operano sul suo sito – dati non pubblici e appartenenti esclusivamente e specificatamente ai rivenditori – in combinazione con Amazon Buy Box, per stabilire le strategie di introduzione sul mercato di nuovi prodotti.
In sostanza, il colosso dell’e-commerce avrebbe utilizzato queste informazioni per decidere se entrare o meno in un nuovo segmento di prodotto in base ai possibili guadagni e potenziale di vendita, oltre che per capire come fissare il prezzo, a quali target rivolgersi e persino quali elementi del prodotto copiare. Non solo: Amazon avrebbe manipolato a suo vantaggio anche la Buy Box, ossia quel riquadro della scheda prodotto dal quale l’utente può aggiungere l’articolo nel carrello o acquistarlo subito. Nella navigazione desktop si trova in alto a destra, mentre se si usa lo smartphone, appare immediatamente sotto alle foto del prodotto. In teoria, la Buy Box dovrebbe regolare la concorrenza tra i venditori, con l’obiettivo di offrire all’utente la miglior esperienza d’acquisto possibile, al prezzo più contenuto possibile. Manipolare questo riquadro, quindi, avrebbe di fatto permesso ad Amazon di escludere molti retailer indipendenti dal mercato, offrendo alternative più economiche.
Secondo la Bira, che rappresenta circa 35mila retailer nel Regno Unito, “I rivenditori, molti dei quali sono piccole imprese indipendenti, non erano a conoscenza del fatto che Amazon stesse utilizzando illegalmente i loro dati a vantaggio delle proprie operazioni di vendita al dettaglio. Amazon stava già addebitando loro una commissione non negoziabile del 30% su ogni loro prodotto venduto sul sito”.
Quest’azione contro Amazon potrebbe consentire quindi ai rivenditori del Regno Unito di ricevere un risarcimento per le perdite causate di una possibile condotta illegale. E si stima che il danno totale causato ai rivenditori del Regno Unito sia nell’ordine di 1 miliardo di sterline. “Sebbene i rivenditori fossero a conoscenza delle ingenti commissioni addebitate da Amazon”, ha evidenziato Andrew Goodacre, ceo di Bira, “non erano a conoscenza del rischio aggiuntivo che i loro dati venissero utilizzati da Amazon per sottrarre loro le vendite”.
Secondo le regole stabilite nel Competition Act del 1998, tutti i rivenditori britannici che sono stati esclusi dal marketplace in questo modo e che ora sono domiciliati nel Regno Unito entreranno automaticamente a far parte della class action, a meno che non decidano esplicitamente di rinunciarvi. Boris Bronfentrinker, socio di Willkie Farr & Gallagher, in rappresentanza di Bira, ha sottolineato l’importanza del caso: “Questo è esattamente il tipo di richiesta per cui è stato presentato il nuovo regime di azione collettiva: consentire alle piccole e medie imprese di ricevere un risarcimento per i danni causati loro da una grande multinazionale, laddove altrimenti non avrebbero avuto accesso alla giustizia”.
Da parte sua Amazon, com’è ovvio, ha a lungo contestato l’idea secondo cui utilizzerebbe in modo improprio le informazioni raccolte dai rivenditori terzi del mercato per i propri scopi commerciali. Allo stesso modo ha negato di utilizzare la Buy Box per privilegiare le proprie operazioni di vendita al dettaglio. Un portavoce della società ha definito la denuncia “priva di fondamento”, aggiungendo che “oltre 100mila piccole e medie imprese nel Regno Unito vendono sul marketplace Amazon. Più della metà di tutte le vendite di prodotti fisici nel nostro marketplace nel Regno Unito provengono da partner di vendita indipendenti. Di fatto abbiamo successo solo quando le aziende con cui lavoriamo hanno successo”.