Dilaga la mania per i prodotti cosmetici, e le prime vittime hanno dai 6 agli 11 anni. Aumenta il guadagno facile per le aziende, ma diminuisce l’autostima delle nuove generazioni. Siamo sicuri di andare nella direzione giusta? 

di Alice Giannetta

Se fino a qualche giorno fa non sapevamo neanche cosa fosse, ora tutti ne stanno parlando perché è un fenomeno sempre più diffuso. Si tratta della ‘cosmeticoressia’, un’ossessione morbosa per i prodotti di bellezza e skincare che sta prendendo piede con preoccupante velocità, soprattutto tra i più giovani. In particolare, è la Generazione Alpha, descritta come ‘la più beauty addicted di sempre’, a trovarsi esposta a rischi, non solo fisici ma anche psicologici. Bambine tra i 6 e gli 11 anni, con la mania di applicare sul viso tantissimi prodotti, dai sieri antietà, ai gel, ai tonici, a tanti altri cosmetici, tutti rigorosamente pensati per un pubblico più adulto.

Una generazione completamente immersa nell’ambiente digitale, che si trova particolarmente esposta a questo fenomeno. Le immagini patinate di perfezione, veicolate attraverso gli schermi a cui hanno accesso fin dalla più tenera età, stanno plasmando la percezione che hanno di loro stesse. La pressione di conformarsi a queste bellezze idealizzate può spingere al consumo eccessivo di cosmetici, anche in età prepuberale, con conseguenze potenzialmente dannose per la salute e il benessere. Sotto l’hashtag #sephorakids, si stanno diffondendo in rete moltissimi video, attraverso cui le commesse della nota catena testimoniano direttamente quest’ossessione sempre più evidente delle preadolescenti.

L’adozione precoce di queste abitudini non è priva di conseguenze. Dermatologi e specialisti allertano sui rischi per la salute della pelle, che vanno da irritazioni a dermatiti, spesso risultato dell’uso di prodotti chimici aggressivi o non specifici per le pelli più giovani. Oltre ai danni fisici, la cosmeticoressia porta con sé un pesante fardello psicologico: la ricerca ossessiva di un ideale di bellezza irraggiungibile mina l’autostima e promuove un’immagine distorta del proprio corpo. Per l’industria cosmetica, il fenomeno rappresenta un’opportunità di guadagno di notevole entità, con un incremento delle vendite spinto dalla domanda crescente di questa nuova fascia di consumatori. Alla luce di questo, però, si apre un dibattito etico sul ruolo delle aziende nel promuovere o limitare l’accesso a prodotti potenzialmente dannosi per i più giovani. Il profitto a breve termine, infatti, andrebbe bilanciato con la responsabilità sociale di promuovere un’immagine sana e realistica della bellezza, evitando di sfruttare le insicurezze dei nuovi consumatori. Alcune realtà stanno già mostrando la strada verso un approccio più responsabile. Il brand Dove, ad esempio, ha ideato la campagna #TheFaceof10, in cui creators, dermatologi ed esperti collaborano per aiutare genitori e operatori sanitari ad affrontare il problema della cosmeticoressia coi più giovani. In Svezia, invece, la catena di farmacie Apotek Hjartat ha stabilito un divieto di vendita di prodotti antietà ai minori di 15 anni, a meno che non vi sia un certificato che ne dimostri la reale necessità. Queste azioni sono un passo verso la consapevolezza e l’autoregolamentazione: le aziende hanno l’opportunità di guidare un cambiamento positivo, ed è un dovere morale ed etico adottare pratiche che privilegino il benessere dei consumatori, prima del profitto economico.