Nella romantica cornice di Verona, si apre un nuovo capitolo nella storia del retail. È stato inaugurato Tuday Conad, supermercato senza casse (leggi qui). Non troveremo più file interminabili per pagare: è l’inizio di un nuovo modo di fare la spesa, più veloce, più smart, più tecnologico. Il concetto di supermercati automatizzati, però, non è un’esclusiva di Verona. Il format, già testato con successo
da giganti come Amazon con il suo Amazon Go, sta prendendo piede globalmente. Pensiamo anche ad Aldi Shop&Go a Londra, Tesco o il Presto Spesa di Esselunga. Questi negozi rappresentano l’apice dell’efficienza: telecamere e sensori che tracciano ogni movimento, ogni scelta, ogni acquisto. Sistemi intelligenti che si aggiornano in tempo reale, e un’esperienza cliente sempre più fluida. Si tratta senza dubbio di un cambiamento epocale, che sta facendo sorgere domande e dubbi di ogni genere e sorta.
Ma la medaglia ha sempre due facce: tutto ciò porterà solo vantaggi o anche svantaggi?
Per le aziende, i vantaggi sono evidenti: abbattimento dei costi operativi, miglioramento del servizio cliente e una gestione dei dati in tempo reale che consente di affinare strategie di marketing e organizzazione interna con precisione chirurgica. Inoltre, per le persone, questa modalità nuova e più snella di fare la spesa rappresenta sicuramente un risparmio notevole di tempo, un addio definitivo alle code interminabili in cassa. Ma con l’innovazione sorgono anche domande. La transizione verso il supermercato automatico pone, infatti, sfide etiche, sociali e morali. In primo luogo, l’impatto sul lavoro: cosa succederà ai cassieri, a quel contatto umano che per molti è un punto fermo della spesa quotidiana? C’è il rischio di un aumento della disoccupazione, un tema che richiede una riflessione profonda e soluzioni concrete, come la riconversione professionale e la formazione specifica. Le risorse, ad esempio, potrebbero essere formate nuovamente e reinserite all’interno della stessa azienda, ma con mansioni diverse. Sul piano sociale emergono questioni relative all’accessibilità e all’inclusione: questi sistemi avanzati saranno fruibili da tutti o si creerà una spaccatura digitale? L’innovazione deve (o dovrebbe) essere inclusiva. In un mondo in rapida digitalizzazione, bisogna considerare la possibilità che una parte della clientela possa sentirsi esclusa. Tralasciando la mancanza dello scambio umano, che per molte persone rappresenta un piccolo momento di felicità, bisogna anche considerare un’altra questione: non tutti i consumatori sono pronti o in grado di interfacciarsi con tecnologie avanzate. C’è il rischio di una ‘spaccatura digitale‘ che allontani anziani e meno tecnologici, creando nuove forme di disparità. È fondamentale, quindi, che le aziende implementino programmi di assistenza e formazione per guidare tutti i clienti nell’adozione di questi nuovi sistemi di acquisto.
Anche la questione della privacy diventa centrale: la sorveglianza costante solleva dubbi legittimi sulla protezione dei dati personali. Il pubblico, ancora legato a modalità d’acquisto più tradizionali, potrebbe percepire quest’evoluzione come una disumanizzazione del commercio.
E c’è un’altra riflessione da fare: nonostante l’efficienza dei nuovi sistemi, infatti, potrebbe essere essenziale preservare l’elemento umano all’interno dell’esperienza d’acquisto. Per questo, torniamo a dire che potrebbe essere una mossa saggia da parte delle aziende quella di mantenere o reinventare figure professionali che possano fornire supporto e consulenza. E questo vale specialmente in ambiti specifici, come quello della bellezza, dove il consiglio dell’esperto è spesso indispensabile. In questo scenario, il settore retail e della cosmetica si trova di fronte a sfide complesse, che necessitano di una riflessione etica e una visione lungimirante in cui si riesca ad armonizzare progresso tecnologico e valore dell’uomo.

Alice Giannetta