La nuova Manovra Finanziaria prevede un aumento dal 5 al 10% dell’Iva sui beni di prima necessità quali assorbenti, pannolini e alimenti per la prima infanzia. Le prime reazioni dal mondo politico e dalle associazioni dei consumatori.
Di Annalisa Pozzoli
Addio alle agevolazioni sulla ‘tampon tax’? Sembrerebbe proprio di sì. Quella che al momento è solo la bozza della nuova Legge di Bilancio, già contiene una spiacevole sorpresa: prevede che i prodotti per l’infanzia come latte in polvere e preparazioni per l’alimentazione dei più piccoli (così come assorbenti, tamponi e coppette mestruali) non possano più godere dell’Iva al 5%, e che la loro tassazione salga al 10%. Soppressa anche l’agevolazione per i seggiolini da installare negli autoveicoli.
Il taglio dell’Iva su questi prodotti risale solo a novembre 2022, quando il Consiglio dei ministri si era riunito, sotto la presidenza di Giorgia Meloni, approvando la Manovra Finanziaria 2023 da 35 miliardi di euro. Il programma elettorale della coalizione di centrodestra aveva parlato ampiamente di inverno demografico e di aiuti alle famiglie, e infatti, tra le varie misure della manovra, c’era anche il taglio dell’Iva sugli assorbenti e sui pannolini, che scendeva al 5%, insieme a quella su altri prodotti per l’infanzia, come biberon e omogeneizzati.
Ma le cose non sono andate proprio come sperato. Già a maggio 2023, le prime rilevazioni indicavano una variazione media nazionale di prezzo che, per alcuni prodotti risultava meno intensa di quella attesa, anche se in misura disomogenea sul territorio nazionale. In particolare, per quanto riguarda i seggiolini auto per bambini, da dicembre a marzo il calo del prezzo ammontava solo al 2%, molto meno di quanto previsto.
L’attuale decisione dell’esecutivo è stata subito aspramente contestata dalle associazioni dei consumatori, che lo accusano di rinunciare a un intervento fondamentale sui prezzi di beni di assoluta necessità per le donne e la famiglia. In Parlamento, la premier Giorgia Meloni ha risposto alle prime proteste, affermando che “quando le cose non funzionano, non si rinnovano”. Vero, come spiega Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, riportato da diverse testate nazionali, tra cui il Corriere della Sera: “Il provvedimento è stato un flop, visto che i commercianti non hanno traslato la riduzione dell’Iva sul prezzo finale. Ma il rialzo dell’Iva non farà che aumentare ancora di più i prezzi”.
Ovviamente, le critiche più aspre arrivano dall’opposizione. “Dopo aver cancellato definitivamente opzione donna, il governo Meloni raddoppia l’Iva per assorbenti e coppette mestruali. Idem per pannolini e latte in polvere. Ecco come finanziano i condoni agli evasori: sulla pelle di donne e famiglie. Alla faccia della prima donna premier”, scrive su X (ex Twitter), il deputato del Pd Alessandro Zan. O ancora, Marco Furfaro, sempre Pd: “Tanta insopportabile retorica sulla famiglia e su ‘io sono una donna’ per poi punire e fare cassa su donne e bambini”.
Indipendentemente dallo schieramento politico, il raddoppio dell’Iva su questi prodotti non appare come un segnale positivo. Specie in uno scenario in cui, secondo l’ultimo Osservatorio mensile di Findomestic, le famiglie percepiscono un aumento del 15% delle spese per i figli rispetto a un anno fa. Le motivazioni di natura economica incidono anche sulla scelta di avere o meno figli: tra chi non ne ha, 4 su 10 non hanno intenzione di averne in futuro.
“Si tratta di una brutta notizia per un Paese in cui la natalità è un grave problema per il futuro”, ha commentato Anna Rea, presidente di Adoc (Associazione nazionale per la difesa e l’orientamento dei consumatori). “In un quadro economico per le famiglie già disastrato dal caro vita, crescere i figli costa. Solo per l’acquisto dei pannolini, le famiglie spendono mediamente 726 euro l’anno a figlio; per gli alimenti per bambini si sono registrati nel corso del 2023 aumenti del 15,2%. Il tema non è portare dal 5% al 10% l’Iva su tali prodotti perché i prezzi non sono diminuiti, anzi sono aumentati, dato che la maggior parte dei commercianti non ha ridotto i listini al pubblico. La ragione va ricercata nella speculazione e nella mancanza di controllo dei prezzi”.