E’ trascorso oltre un anno dall’entrata in vigore del divieto di commercializzare prodotti contenenti questa sostanza. Eppure si susseguono allerte e sequestri. Cosa è andato storto?
Di Irene Galimberti
Da oltre un anno e mezzo dovevano essere ritirati dal mercato. Invece centinaia di migliaia di prodotti contenenti Lilial sono ancora in circolazione, in Italia come all’estero.
Questa sostanza – molecola di sintesi in passato ampiamente utilizzata come fragranza floreale in cosmetici, detergenti e detersivi (Butylphenyl methylpropional, Bmhca) – era ‘sotto ai riflettori’ già dal 2012. Quando era stata proposta la sua classificazione come sostanza cancerogena, mutagena e tossica per la riproduzione (chiamate anche sostanze Cmr). Dopo alcune verifiche, nel 2015, il Comitato Scientifico per la sicurezza dei Consumatori della Commissione Europea (Sccs) dichiarava di non poter escludere la sua genotossicità, con conseguenze negative per il sistema riproduttivo e per la salute del feto, oltre a ribadirne l’effetto di sensibilizzazione cutanea. Bisogna però aspettare il Regolamento Ue 2021/1902 della Commissione del 29 ottobre 2021 (che modifica gli allegati del regolamento Ce n. 1223/2009) per avere il divieto di utilizzo nei prodotti cosmetici e, dal 1° marzo 2022, la proibizione della commercializzazione di referenze contenenti la sostanza 2-(4-terz-butilbenzil) propionaldeide (il nostro Lilial). Oltre questa data i prodotti contenenti questa fragranza non dovevano – o non avrebbero più dovuto – essere venduti al consumatore.
Negli ultimi mesi, però, si sono susseguiti i sequestri, non solo nei magazzini, ma anche nei punti vendita. Ad esempio, sono stati recentemente denunciati per commercio e detenzione di cosmetici contenenti sostanze nocive per la salute (articolo 3 del Dl 204, 2015), i titolari di due aziende a Tortona, nell’ambito di un intervento delle Fiamme Gialle. Che hanno trovato oltre mille prodotti contenenti Lilial in un magazzino, operante per una catena di supermercati attiva in tutta Italia, oltre che per una società gestita da imprenditori cinesi. Anche in aprile, il Comando Provinciale di Verbania aveva sequestrato prodotti rinvenuti in due punti vendita, denunciando i due titolari degli esercizi per violazione della legislazione. Ricostruendo poi la provenienza degli articoli, i militari sono risaliti al fornitore (una società della provincia di Varese, attiva nel commercio all’ingrosso di saponi e cosmetici). I controlli hanno portato al ritrovamento di 15mila prodotti con Lilial e alla conseguente denuncia del rappresentante legale della società che deteneva per il commercio tali prodotti. Come in un domino, ulteriori investigazioni hanno permesso di individuare altre due società di stoccaggio e logistica varesine che detenevano in conto deposito per la successiva immissione in commercio la merce della società oggetto d’indagine. Le perquisizioni hanno portato al sequestro di 255mila cosmetici con Lilial.
Ma non solo. Il Safety Gate, sistema di allerta rapido europeo che raccoglie le segnalazioni dagli stati membri, è pieno di prodotti sottoposti al ritiro delle autorità nazionali perché contengono questa sostanza. Com’è possibile?
Anche se modificare le formulazioni di cosmetici o profumi non è affatto semplice – per tutta una serie di questioni legate a equilibri di chimica, texture, fragranze, ma non solo – i produttori dovrebbero essere sempre aggiornati sugli adeguamenti normativi e provvedere, nei termini e nelle modalità previste da regolamento, alla dismissione dei prodotti non sicuri o non conformi. E’ dunque difficile si tratti di una mancanza o disattenzione a monte. Oltretutto, molte delle referenze sequestrate appartengono a noti brand nazionali e internazionali (l’elenco è in costante aggiornamento).
Cosmetica Italia, interpellata sulla questione, ha risposto che tutte le imprese associate hanno immediatamente modificato le proprie formulazioni, sostituendo tale sostanza vietata e cominciando la commercializzazione dei prodotti conformi ben prima della scadenza prevista dalla normativa. Il regolamento in questione non prevede alcun obbligo per le aziende di ritirare le confezioni del prodotto vendute prima del 1° marzo 2022. Devono quindi essere i distributori a fare le dovute verifiche, togliere dal commercio e stoccare in depositi ad hoc i prodotti contenenti la sostanza tossica, per poi avviarli alla distruzione. Il sito di stoccaggio non può essere il magazzino dei rifornimenti, altrimenti il proprietario rischia di macchiarsi del suddetto reato di detenzione di cosmetici nocivi.
Ma chi avvisa le catene e i negozi di controllare gli Inci? In una comunicazione di Confcommercio precedente al marzo 2022, si leggeva: “È pertanto necessario chiedere ai propri fornitori se nei prodotti acquistati è presente tale sostanza ed è comunque necessario controllare gli Inci dei prodotti cosmetici detenuti al fine di verificare la presenza del Bmhca attraverso il suo nome Inci. [Se presente, tali] prodotti cosmetici dovranno essere accantonati e sigillati in un contenitore con apposta la dicitura ‘Prodotti non vendibili o cedibili – da restituire al fornitore’ e restituiti al fornitore con le modalità opportune. Traccia di tutta l’operazione dovrà essere mantenuta in caso di controlli da parte delle autorità sanitarie”. Una ulteriore versione, che certo non aiuta a fare chiarezza. Ma, si sa, ‘ignorantia legis non excusat’.