Faccia a faccia tra Angelo Frigerio, Luigi Rubinelli e Marco Bordoli, Ad della società cooperativa. Focus su richieste di aumento dei listini, marca privata, innovazione e altro ancora. Un confronto serrato e senza sconti.
di Aurora Erba
Mercoledì 16 marzo, alle ore 12.00, sul canale YouTube di Tespi è andato in onda il decimo appuntamento di ‘Mezzogiorno di fuoco’, il format online che racconta di mercato e dintorni. Un ring virtuale: da una parte, il nostro direttore Angelo Frigerio (AF) insieme al noto giornalista Luigi Rubinelli (LR); dall’altra, un operatore del food. Domande brevi, risposte concise. L’ospite di questa puntata è stato Marco Bordoli (MB), amministratore delegato di Crai. Ecco com’è andata.
AF: Diamo il via a questo Mezzogiorno di fuoco con una domanda molto semplice. Avete concesso gli aumenti dei listini?
MB: Sì, li abbiamo concessi e continuiamo a concederli. Il 2022 sarà caratterizzato da una negoziazione permanente. Le situazioni contingenti porteranno inevitabilmente a rivedere le dinamiche di prezzo lungo tutta la filiera: nell’industria per l’approvvigionamento delle materie prime, dall’industria al retail e dal retail ai consumatori. Le ragioni sono ben note a tutti, e nelle ultime due settimane si sono ulteriormente inasprite. Abbiamo quindi concesso gli aumenti dei listini cercando di comprendere quali reali necessità vi si nascondessero dietro, e cercando inoltre di capire come non uccidere il conto economico della nostra rete. Tra l’incudine e il martello non c’è solo l’industria, ma anche il retail. Non possiamo semplicemente trasferire gli aumenti sul consumatore finale, che già vive una situazione di disagio e difficoltà.
LR: Di recente, The European House-Ambrosetti ha presentato i dati sulla Mdd in Italia. È emerso che, rispetto al 2020, la Marca privata è diminuita dello 0,2% nel 2021. Una cifra irrisoria, che segna però una flessione. Perché i soci fanno fatica ad acquistare le referenze a marchio e a metterle sui lineari di vendita?
MB: Il fatto che ci sia stata questa contrazione, seppur molto lieve, non è un buon segno. È un qualcosa da analizzare a fondo, perché il 2020, invece, aveva messo a segno una crescita non indifferente sull’anno precedente. In periodo pandemico, infatti, i clienti si erano ampiamente rivolti ai prodotti a marchio, soprattutto nelle realtà distributive di prossimità come la nostra. Chi entrava nei negozi Crai, magari per la prima volta, prestava grande attenzione alla Mdd, forse più del cliente tradizionale. Tornando alla normalità, si è quindi verificata una lieve diminuzione. Per quanto riguarda la vendita di tali prodotti ai soci, bisogna considerare che la territorialità incide moltissimo. In alcune aree d’Italia, il tema della credibilità della marca dell’insegna è ampiamente sdoganato, mentre in altre regioni si fa ancora fatica. Le quote medie, quindi, hanno ancora dei differenziali molto ampi a seconda del territorio. Anche per Crai vale questo concetto. Inoltre, il tema della Mdd è legato anche a una strutturazione più ordinata dell’assortimento in generale. A mio avviso, il prodotto a marchio non deve essere imposto a scaffale con esposizioni e visibilità esasperate. Ma, sicuramente, va proposto in maniera chiara e coerente a seconda del ruolo che vuole occupare, a livello di marca e nelle singole categorie.
AF: Affrontiamo ora un altro argomento. In Italia ci sono circa 6 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. A tuo parere, come si può conciliare
la sostenibilità con l’economicità del prodotto? Faccio un esempio: se una persona va al supermercato e si ritrova a scegliere tra l’insalata a 0,99 euro nella busta di plastica e quella nella confezione in carta, coltivata in vertical farming e che costa 33 euro/kg, quale sceglierà? È ovvio che prediligerà la prima, anche se non è una scelta sostenibile. Che fare, dunque?
MB: L’insalata in busta, al momento, è già un grande lusso a mio avviso. La famosa IV gamma è un po’ rientrata dal punto di vista del valore/chilo, e rispetto all’insalata sfusa tradizionale da acquistare al banco ortofrutta, costa molto di più. Penso che quindi qualsiasi persona sceglierebbe l’insalata sfusa che trova nel reparto ortofrutta, più sostenibile di quella in busta e anche di quella coltivata in vertical farming. Credo che la sostenibilità non debba diventare un lusso da ‘radical chic’, sarebbe un errore enorme. Chi la presenta in questo modo, sbaglia. La sostenibilità, fra l’altro, non passa solo dal packaging, ma anche dall’utilizzo di strutture refrigeranti lungo la filiera. Quella è una sostenibilità economicamente conveniente, perché sostituire i banchi frigo e i freezer con altri di nuova generazione permette di ridurre notevolmente i consumi di energia. Sinceramente, non capisco come il Governo abbia potuto dimenticarsi che la filiera del largo consumo è la seconda filiera più energivora dell’economia italiana. Dall’agricoltura, alla logistica, fino all’industria, sarebbero quindi necessari degli interventi. Se riuscissi a pagare il 20% in meno di energia, riuscirei anche a essere più competitivo, efficace e reddituale in negozio. E non chiederei nessuno sforzo al cliente.
AF: Che futuro può avere il normal trade?
MB: E’ una realtà che si può valorizzare nel momento in cui l’imprenditore che lo gestisce – parliamo di negozi in cui chi gestisce è anche titolare – capisce che è necessario evolvere verso un’offerta in cui la componente del servizio è fondamentale. Di conseguenza, è necessario strutturare un assortimento di prodotti che siano idonei a sviluppare il concetto chiave del servizio, anche con un adeguamento alla micro realtà territoriale. Senza dimenticare un’appropriata offerta degli orari di apertura. Ad esempio, ci sono ancora dei negozi che la domenica pomeriggio chiudono, ma la domenica è un giorno cruciale. Se vuoi fornire un vero servizio, quel giorno devi tenere aperto e, magari, chiudi il lunedì. Per quanto concerne l’assortimento, invece, va tenuto presente che il negozio sarà di 200 mq scarsi, per cui la presenza della Mdd deve essere dominante. È inutile fare promozioni e volantini, così come tagli prezzo. Bisogna giocare su una logica di servizio, su un pricing adeguato. Se questo mix viene gestito in maniera intelligente e attenta, a mio avviso, possono esserci grandi opportunità anche per queste micro realtà commerciali che, in alcuni casi, diventano punto di riferimento per il territorio.
LR: Quello della superficie è un problema grosso per tutte le tipologie di vendita, superette e supermercati. La vostra è idonea? A volte ne dubito…
MB: È difficile dirlo. Probabilmente, in alcune situazioni, direi di no. Se vuoi essere un punto vendita valido in ottica di servizio, con un’ampiezza di categorie merceologiche tale da non far sentire il cliente prigioniero di certe scelte, avere dimensioni ridotte diventa evidentemente un fatto critico, giustificabile solo se ti trovi in località turistiche particolari. Scendendo sotto i 200 mq, diventa difficile dare un’offerta completa e auspicare anche uno scontrino interessante e una buona fedeltà da parte del cliente. Per quanto riguarda le dimensioni, abbiamo voluto dare delle denominazioni specifiche. Abbiamo negozi piccoli, i ‘Cuor di Crai’, che abbiamo chiamato così perché propongono il cuore dell’offerta in risposta ai bisogni principali dei clienti. Si tratta di negozi che vanno dai 150 ai 250-300 mq. Crai, poi, è un po’ il nostro mainstream e occupa superfici dai 300 agli 800 mq. Infine, abbiamo chiamato ‘Crai Extra’, e non superstore, i negozi più grandi. Intendendo per ‘extra’ un tema di extra prestazione, più che di dimensione. Ecco che ci sono prestazioni aggiuntive sul comparto pescheria, c’è l’angolo per le spremute di arancia fresca, e, in qualche caso, anche il banco pasticceria.
LR: Come si fa a parlare di innovazione oggi nel retail di fronte alle consegne veloci in 10 minuti, alle vendite online di un certo tipo… Come la definiresti tu l’innovazione nel retail?
MB: L’innovazione può seguire diverse direttrici, e, come dicevo prima, bisogna considerare il servizio e la vicinanza al territorio perché quest’ultima fa parte del concetto più ampio di servizio. Sono questi i punti di forza su cui lavoriamo. Ma anche sull’inserimento di nuove dinamiche tecnologiche. L’e-commerce, a mio avviso, è parente stretto della catena di prossimità e non della catena di ipermercati. È un’evoluzione importante della logica del servizio e della consegna a domicilio che un negozio di prossimità ha nelle sue corde da sempre. Innovazione è questo, ma anche l’implementazione di altri strumenti che sistematizzino tutta l’organizzazione, la gestione del pricing, delle promozioni, degli assortimenti. Così come l’utilizzo di strumenti nuovi che aiutino ad accelerare i processi decisionali. Per noi è un tema delicato perché avendo una filiera lunga con tanti attori, i processi decisionali non sempre sono immediati. Parlando di innovazione dell’offerta, intendiamo l’attenzione ai modelli di consumo. Anche questo richiede una capacità di adeguamento più rapida ed efficace. E, poi, puntare sempre più su una distintività e un’identità di offerta che non sia un copia e incolla della media del mercato dei competitor. Un retailer fa innovazione tutti i giorni.