QUAL E’ IL SUO BENE?

Di Angelo Frigerio

Fatimah è felice. Dopo tanti lavoretti in nero e mal pagati finalmente un impiego serio. La signora era stata chiara: “L’assumo regolarmente. Verrà da noi tutti i giorni”. La casa è bella. In pieno centro città. Grande e luminosa. Una famiglia unita: lui avvocato; lei figlia di un noto imprenditore; un bambino di cinque anni. La signora l’accoglie e le spiega i mestieri. “Mi fido di lei”, dice. E così comincia. Fino a quel giorno.
E’ inverno, la signora è già vestita quando arriva: “Devo andare in farmacia. Mio figlio ha la febbre. Sta dormendo. Faccio in fretta”. Fatimah non ha mai visto il bambino. Di solito, quando arriva, è già all’asilo. E lascia la casa sempre prima del suo ritorno. Comincia a lavare il pavimento della cucina. A un tratto la testolina di un bambino di colore compare all’improvviso: “Ciao, chi sei tu?”. “Ciao piccolo”, risponde Fatimah. “Aiuto la mamma. E tu chi sei?”. “Mi chiamo Kiron e ho cinque anni”.
Fatimah si ferma all’improvviso. Lo stesso nome di suo figlio. Le vengono in mente ricordi lontani.
Il barcone in mezzo al mare. Lei che stringe Kiron fra le braccia. Poco lontano, suo marito con la piccola Abiba. Poi un’onda violenta. Il barcone che comincia a riempirsi di acqua. Le urla, le imprecazioni, le suppliche. Poi il vuoto. Lei che sviene. Si ritrova sulla nave insieme ad altri naufraghi. Sola e disperata: “Dove sono mio marito e i bambini?”. Nessuna risposta. Sulla nave non ci sono. “Dispersi in mare”, le dicono. Comincia così il triste ritorno verso la terraferma. Sbarcano in tanti. Tutti hanno perso qualcuno. Si consolano a vicenda. E sperano. C’era un’altra nave nei paraggi. Forse li hanno raccolti loro. Chissà… Arrivati a terra, al centro di accoglienza si attivano subito. Ma di suo marito e dei bambini non c’è nessuna traccia. Di loro solo una foto che Fatimah tiene sempre con sé.
Ora è davanti al bambino. Lo prende per mano e lo porta nella sala giochi. Sta con lui fino all’arrivo della signora: “Grazie Fatimah. Adesso ci penso io”. Il cuore è in subbuglio. Kiron, come il suo bambino, la stessa età. Ne parla con la sorella Abeo. Vivono insieme in un piccolo appartamento in affitto. “Forse è un caso”, dice Abeo. “O forse no. Fatti raccontare la sua storia”.
Fatimah è confusa. Nella casa, quella mattina, non c’è nessuno. Il bambino ha ripreso l’asilo. La signora è al lavoro. Lava e stira. Poi va nella camera di Kiron. Qualche disegno. Una madonnina e tanti giochi. Le foto di lui con i genitori, i nonni, i cuginetti. Al mare e in montagna. Sempre sorridente.
Ci vogliono giorni per farsi raccontare la sua storia. “Erano molti anni che eravamo sposati”, spiega la signora. “Volevamo dei figli ma niente da fare. Ci eravamo quasi rassegnati dopo tanti tentativi andati a vuoto… Fino a quando il nostro amico Don Beppe ci ha parlato di un bambino che era stato raccolto da una nave. Unico sopravvissuto, insieme a una donna, dopo una tempesta in mare. Lo abbiamo adottato. E ora Kiron, il nome che la donna aveva sentito fare da sua madre, è nostro figlio”.
Fatimah è sconvolta. Potrebbe essere lui. Non dice nulla ma confida tutto alla sorella. “Troppe coincidenze”, le dice Abeo. “Devi andare a fondo”. Fatimah annuisce. Ma è dura. La signora è buona con lei. La riempie di attenzioni. Si vede che è felice. Kiron nel frattempo è diventato suo amico. La va a trovare in cucina. Le racconta dell’asilo. Un giorno, prima di Natale, le porta un disegno: la stalla, un piccolo Gesù, Giuseppe, la Madonna, il bue, l’asinello. E una figura inginocchiata davanti al presepe. “E questa chi è Kiron?”. “Sei tu”, risponde il bambino. Quella notte Abeo la sentì singhiozzare a lungo Un giorno la signora ha un’urgenza sul lavoro. “Fatimah fai tu il bagnetto al bambino per favore”. Lo spoglia ed ecco quella macchia sulla coscia sinistra. Come quella che aveva Kiron dalla nascita. E’ lui, è proprio lui.
Mille pensieri le vengono in mente: “Che fare? Cosa dire alla signora? Cosa capirà Kiron? Ma soprattutto: quale futuro posso garantigli? Qual è il suo bene?”. Ci pensa e ripensa tutto il giorno.
Al ritorno la sorella la vede turbata. “Allora, hai scoperto qualcosa?”. Fatimah abbozza un sorriso. E’ confusa. Non sa cosa fare. E si ripete continuamente: “Qual è il suo bene?”. Il giorno dopo ritorna al lavoro. Apre la porta, come ogni giorno. Kiron le va incontro e l’abbraccia. E’ finita. Tutto chiaro: “Signora, le devo parlare”.

IN FOTO:
Natività – Giotto – Cappella degli Scrovegni, Padova.
Gesù in fasce, un Dio minuscolo e inerme, diventa il significato e la ragione dell’esistenza. BUON NATALE