Un’indagine condotta dall’Antitrust transalpino ha rilevato gravi irregolarità nelle merci vendute sul marketplace cinese. Da qui la decisione di bandire sito e app dai motori di ricerca.

Di Annalisa Pozzoli

Quando si parla di marketplace, si è portati a pensare soprattutto ad Amazon. Del resto, è di gran lunga il portale più utilizzato sia dai consumatori, da sia dalle realtà, italiane e non, che vogliono affacciarsi sul digitale, far conoscere in larga scala il proprio prodotto e aumentare le vendite tramite il canale online. Ma non esiste solo Amazon. E si moltiplicano le iniziative per sensibilizzare sui rischi degli acquisti online non verificati sui marketplace. In Francia, di recente, si è passati direttamente all’azione, bloccando l’accesso a Wish.
La celebre piattaforma di e-commerce, fondata nel 2010, vende soprattutto prodotti di brand e aziende cinesi. Si trova un po’ di tutto, abbigliamento, accessori, giocattoli. Ma anche cosmetici, profumi, make up e persino detersivi, prodotti e deodoranti per la casa. A differenza di Amazon, però, non possiede un magazzino, poiché gli articoli vengono spediti direttamente dai commercianti, senza ulteriori intermediazioni.
Negli anni la sua fama è cresciuta notevolmente in Europa, grazie a prezzi stracciati e sconti sempre molto aggressivi, che arrivano anche fino al 90%. E sono proprio questi aspetti ad aver insospettito diverse autorità europee, tra cui l’Antitrust francese, la Direction générale de la concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes (Dgccrf), che lo scorso anno ha aperto un’indagine. Dopo aver ordinato 140 diversi articoli su Wish, sono emerse delle gravi irregolarità, pressoché in ogni settore esplorato: con numerose referenze non conformi alla normativa europea e molte addirittura considerate pericolose.
In teoria, quando Wish riceve la notifica che un articolo commercializzato sul suo store è stato classificato come pericoloso, dovrebbe rimuoverlo dal marketplace entro 48 ore. Invece, nonostante le segnalazioni inviate anche dall’amministrazione francese lo scorso luglio, la società non avrebbe agito in alcun modo. “Nella maggior parte dei casi, quei prodotti rimangono disponibili con un nome diverso, e talvolta vengono anche forniti dallo stesso venditore”, sottolinea in una nota il ministero dell’Economia francese. “La società non tiene alcun registro sulle transazioni relative a prodotti non conformi e pericolosi”.
Da qui la decisione di deferenziare Wish, ossia eliminarla dai risultati dei motori di ricerca e dagli app store. Anche dopo l’entrata in vigore di questo blocco, il sito web sarà disponibile e l’app funzionerà ancora a chi ne ha già effettuato il download. Wish, però, non comparirà più tra i risultati di ricerca su Google né si riuscirà più a scaricare la sua app, che sarà di fatto introvabile per molte persone.
Dal canto suo, il colosso dell’e-commerce ha annunciato che farà ricorso contro queste misure, che ritiene “sproporzionate”: “Disponiamo di una serie di meccanismi proattivi e reattivi progettati per prevenire, rilevare e rimuovere gli annunci che violano le leggi o gli standard di sicurezza locali. Tra questi c’è un robusto meccanismo interno per la notifica e la rimozione dei prodotti, nonché un protocollo che punisce i commercianti recidivi”, si legge in una nota, inviata dalla società alla testata statunitense TechCrunch. “Abbiamo ripetutamente cercato di impegnarci in modo costruttivo con la Dgccrf. Ora stiamo perseguendo un ricorso legale per contestare ciò che consideriamo un’azione illegale e sproporzionata”. Wish sostiene di investire in una vasta gamma di programmi per premiare quei venditori che offrono articoli di qualità, limitando la visibilità di coloro che offrono articoli di qualità inferiore. Tuttavia, non manca di sottolineare: “In qualità di marketplace, non abbiamo alcun obbligo legale di effettuare dei controlli sui 150 milioni di prodotti offerti in vendita sulla piattaforma”.
Il tutto, lo ricordiamo, avviene in Francia. E se da noi in fin dei conti sembra cambiare poco, questa decisione crea un importante precedente a livello europeo. Un punto di partenza, a cui anche altri governi potrebbero ispirarsi nell’indagare e sanzionare tutti quegli attori del mercato che si stanno rendendo responsabili della vendita online di prodotti pericolosi o contraffatti.