Sami Kahale, amministratore delegato, lascia il gruppo. Al suo posto Marina Caprotti. Che si trova davanti a un bivio: gestire l’azienda con il marito e la madre o vendere a un big straniero. In pole position c’è…
Di Federico Robbe
Rivoluzione in casa Esselunga. Il 15 giugno, in tarda serata, il Consiglio di amministrazione comunica l’uscita dell’amministratore delegato Sami Kahale. Ingegnere egiziano, con una lunga esperienza in Procter&Gamble, Kahale lavorava in Esselunga da tre anni. Prima come direttore generale e poi, da luglio 2019, come amministratore delegato. È stata una risoluzione consensuale e senza particolari criticità, almeno così pare dai dichiarati di Marina Caprotti, presidente esecutivo che assume ora la carica di Ad, e dello stesso Kahale.
Resta il fatto che il manager sia stato allontanato dopo un periodo brevissimo. Specialmente per una realtà che pensa in grande come Esselunga. Perciò sorgono spontanee alcune domande sui motivi dell’allontanamento e sul futuro dell’insegna.
Innanzitutto bisogna dire che se un manager lavora bene, resta al suo posto. È pur vero che l’anno del Covid ha messo in difficoltà le medie e grandi superfici: le limitazioni agli spostamenti hanno infatti penalizzato super e iper con clientela proveniente da diversi comuni. Al netto di queste giustificazioni, il lavoro svolto da Sami Kahale non deve aver convinto Marina Caprotti. Che si aspettava uno scatto in più per un gruppo da 8,1 miliardi di ricavi e una redditività per metro quadro da record (15.800 euro, fonte: Osservatorio Mediobanca).
Proprio l’ultima figlia di Bernardo assume ora la guida operativa del gruppo. La gestione, da quanto si apprende, dovrebbe essere condivisa con il marito Francesco Moncada di Paternò, nobile siciliano nel Cda di Esselunga, e con la madre Giuliana Albera. Se la situazione si stabilizzasse, sarebbe un grande ritorno alla gestione familiare e senza ‘intrusi’. Nel più classico stile Caprotti.
Il benservito a Kahale fornisce poi un’altra indicazione chiara: tramonta l’ipotesi di quotare la società in Borsa, più volte ventilata in questi anni. Non è un mistero che l’ingegnere fosse stato reclutato anche per preparare una possibile quotazione a Piazza Affari: una strada intrapresa quasi subito dopo la morte del fondatore e che sembrava certa. Nell’ottobre 2017, infatti, il bond da un miliardo di euro è andato letteralmente a ruba, riscuotendo un grande successo tra gli investitori internazionali.
Ecco, il mercato estero è un altro tassello fondamentale in tutta questa faccenda. Perchè sappiamo bene che i pretendenti stranieri non sono mai mancati, anche quando il ‘Dottore’ era pienamente operativo. Negli anni Duemila si è parlato di Walmart, Tesco e Mercadona, giusto per fare qualche nome. Ma l’unica catena ben vista da Caprotti senior per comprare Esselunga, tanto da essere citata nel testamento, è l’olandese Ahold.
Fin qui il passato. Oggi a farla da padrone è Amazon, oggetto di rumors insistenti emersi un paio di mesi fa, e seccamente smentiti da Marina. Ogni ipotesi di trattativa, dichiarava la presidente, “non è mai stata presa in considerazione con nessuno e per nessuna ragione”.
Sarà. Ma oltre al colosso di Jeff Bezos, c’è un altro big di cui si parla poco, che già si è fatto avanti in passato. È il gruppo cinese Yida investment, colosso finanziario guidato da Yida Zhang, con interessi in vari settori, tra cui immobiliare ed energie alternative. Nel 2017 ha messo sul piatto ben 7,5 miliardi di euro per acquistare il capitale di Esselunga e La Villata, a cui fanno riferimento le proprietà immobiliari.
Una pista, quella cinese, che potrebbe essere tornata in auge proprio in queste settimane. Chissà, lassù, cosa ne pensa Bernardo: una vita a fare la guerra alla Coop e poi si rischia di finire in mano ai comunisti…