Milano – E’ in atto la corsa allo sviluppo dell’olio di palma sintetico. Questo grasso vegetale, come noto, è molto versatile, economico e ampiamente impiegato nei settori alimentare e cosmetico, ma anche per produrre biocarburanti. Secondo un’analisi de Il Post, alcune aziende biochimiche stanno sviluppando delle alternative sintetiche che potrebbero sostituire, almeno in parte, quello prodotto in natura. Permettendo di minimizzare gli impatti ambientali della produzione e ridurre al minimo gli scarti. Tra le aziende in pista ci sono la C16 Biosciences, start up nata tre anni fa a New York, che ha ricevuto un finanziamento di 20 milioni di dollari (oltre 16 milioni di euro) dal fondo Breakthrough Energy Ventures. Ma anche i ricercatori dell’Università di Bath (Regno Unito) e quelli della start up californiana Kiverdi. Il procedimento di partenza è lo stesso: un processo di fermentazione simile a quello per la preparazione della birra. “Che permette di utilizzare dei microbi ingegnerizzati in laboratorio per convertire gli scarti di cibo o gli avanzi industriali (come scarti agricoli di grano o riso, ndr) in un prodotto molto simile all’olio di palma naturale”, scrive la testata. Al momento i ricercatori stanno lavorando su prototipi che non sono commercializzati, ma iniziano a destare l’interesse di grandi società. Se questa alternativa dovesse diventare concreta, bisognerà valutare come rendere interessanti anche i costi e come evitare il tracollo delle economie basate sulla coltivazione del palma.