E’ tutta una gran confusione. Ma la cosa non stupisce, visto che parliamo di leggi e tributi in Italia.

Abbiamo già raccontato il caos generato dall’Art. 124 del Decreto legge n. 34, 19 maggio 2020 (leggi qui). L’ormai nota vicenda dell’esenzione Iva per i ‘detergenti disinfettanti per mani’, che ha creato scompiglio nel settore, perché non si capiva a quali prodotti potesse essere applicata. Per mesi le aziende, e le insegne, si sono divise su due fronti: quelle che vendevano senza l’Imposta sul valore aggiunto solo i Presidi medico chirurgici, e quelle che vendevano a queste condizioni, e quindi con prezzi più convenienti per il consumatore finale, anche i saponi tradizionali. Salvo poi scoprire – mesi dopo – che l’articolo in questione si riferiva solo ai Pmc, come ha chiarito l’Agenzia delle entrate il 17 settembre, con la risposta n. 370, e successivamente con la numero 530, oltre che con la circolare n. 26/E del 15 ottobre.

Specificando l’ambito di applicazione dell’agevolazione, però, l’Agenzia delle entrate non si preoccupa di spiegare in che modo le società dovranno a questo punto gestire le eventuali vendite già avvenute senza Iva. E questo apre a un’infinità di domande: c’è il rischio di contenzioso? Come evitare sanzioni per evasione fiscale? Le Autorità terranno conto della difficoltà nell’interpretare il decreto e della mancanza, per mesi, di una definizione certa? C’è la possibilità di appellarsi alle ‘buone intenzioni’? Le aziende che in questi mesi hanno venduto i saponi con l’Iva vorranno rivalersi in qualche modo? Cosa fare con le fatture già emesse? Come recuperare i 22 punti percentuali? Insomma, le domande abbondano e l’unica certezza resta la reale difficoltà a recuperare quei soldi che non sono stati versati.

Abbiamo interpellato aziende e catene distributive: nessuno, dopo la pronuncia dell’Agenzia delle entrate, ha chiaro come procedere, su chi ricade la responsabilità, né in quale misura. E non è stato facile riadeguare i listini in tempi brevi.

Ci siamo quindi fatti volentieri carico, un’altra volta, delle istanze del sistema produttivo italiano, già abbastanza sotto pressione per la situazione difficile legata alla pandemia e per l’aumento della domanda dei prodotti per l’igiene. Abbiamo inviato una richiesta all’Agenzia delle entrate per tentare di fare chiarezza una volta per tutte: “Buon giorno”, abbiamo scritto, “avremmo bisogno di capire, alla luce dei chiarimenti da Voi forniti con risposta n. 370 del 17 settembre (Iva sui saponi), in che modo dovrebbero ora muoversi aziende e rivenditori che hanno sbagliato a vendere senza Iva i saponi non disinfettanti”.

Visti i tempi biblici con cui è arrivata la risposta alla prima richiesta di chiarimenti, non eravamo molto fiduciosi ma, come si dice, tentar non nuoce. E in questo caso la nostra determinazione ci ha premiati: in meno di 24 ore è arrivato il seguente messaggio: “Agenzia delle entrate – Risposta a Sms n.34163548 – Le fatture elettroniche emesse non possono essere rettificate, di conseguenza si dovranno emettere note di credito a storno delle fatture errate e riemettere nuove fatture elettroniche con Iva”.

Dunque, le istruzioni dicono di recuperare l’imposta riemettendo nuove fatture. Le aziende, teoricamente, possono farlo, rivalendosi sul Cedi, sulla catena o sul punto vendita. Ma la distribuzione? Di certo non può andare a casa di ogni singola ‘sciura Maria’, con uno scontrino corretto a batter cassa…

Abbiamo provato a porre la questione rispondendo al messaggio ricevuto, ma si tratta di un numero a cui non si può scrivere direttamente, dobbiamo quindi inviare una nuova richiesta. Mentre attendiamo l’eventuale spiega, ci chiediamo chi finirà per essere penalizzato…

Inutile dire che, se solo la norma fosse stata scritta fin dall’inizio con maggiore chiarezza, si sarebbero evitate tutte queste, burocraticamente noiose e pericolose, problematiche.