Il 7 ottobre, con un comunicato stampa, il Conai (Consorzio nazionale imballaggi) – su richiesta dei consorzi di filiera Corepla, Ricrea e Coreve – ha deliberato una ‘rimodulazione’ del Contributo ambientale (Cac) per gli imballaggi in acciaio, vetro e plastica (fascia B2 e C). “Una decisione frutto di profondi cambiamenti intervenuti nel corso del 2020 per il sistema e per l’intero settore della gestione dei rifiuti di imballaggio”, si legge nella nota. Un’affermazione che – considerata la grave situazione generata dalla pandemia del Covid-19, con mercati fermi, aziende in difficoltà, intere famiglie in cassa integrazione e tutto il resto – farebbe pensare: “Bene, finalmente qualcuno è disposto ad aiutare il sistema produttivo italiano, alleggerendo il carico dei contributi”. Invece no. Si parla di rincari, in alcuni casi anche notevoli.

In particolare, a partire dal 1° gennaio 2021, il tributo per la plastica in fascia B2 passa da 436 a 560 euro per tonnellata (+124 euro); la fascia C da 546 a 660 euro/ton. (+114 euro); mentre sono stabili la fascia A (150 euro) e la B1 (208 euro), quelle più riciclabili. Aumenta anche il Cac sul vetro da 31 a 37 euro/ton. e quello sull’acciaio da 3 a 18 euro a tonnellata.

Non solo, proprio l’emergenza sanitaria è indicata come principale leva che avrebbe spinto il Consorzio a rivedere i contributi. “Oltre all’entrata in vigore del cosiddetto Decreto Rifiuti, che recepisce due delle quattro direttive europee contenute nel Pacchetto economia circolare, l’emergenza sanitaria in corso sta indubbiamente condizionando la filiera della valorizzazione dei rifiuti di imballaggio”, dichiara il comunicato stampa. “L’effetto Covid-19 ha infatti generato una crescita nella raccolta urbana, anche a causa di una generalizzata preferenza dei consumatori verso i prodotti imballati e del venir meno dei consumi fuori casa. […] Il blocco di alcuni settori di sbocco dei materiali sia in Italia sia verso l’estero, inoltre, ha causato un eccesso di offerta che ha fatto crollare il valore della materia da riciclo e ridotto gli sbocchi di mercato, soprattutto nel mondo della plastica”. E poi la chicca: “Gli aumenti del contributo ambientale devono quindi mettere il mondo delle imprese nella condizione di poter continuare a garantire le attività di raccolta anche in questi mesi di pandemia, che rappresentano un momento di preoccupazione e difficoltà per tutti”. Eh beh, perché certamente in un momento così, con le aziende che rischiano di chiudere i battenti e faticano a garantire lo stipendio ai dipendenti, le attività di raccolta sono di fondamentale importanza.

Ricordiamo inoltre che, a partire dal 1° gennaio 2021, le imprese italiane dovranno sostenere anche un altro tributo assai contestato: la famosa plastic tax, che era stata rimandata proprio a causa della pandemia. Si tratta di un’imposta di 45 centesimi per ogni chilogrammo di plastica. Una misura che colpisce i prodotti e non i comportamenti scorretti, andando a caricare di costi ingenti le aziende e mettendo a rischio posti di lavoro e la stessa sopravvivenza di tante società in molti settori. Non solo, a fine settembre il ministero dell’Economia e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli hanno avviato un tavolo per aggiornare i termini del contributo per quanto riguarda sia i soggetti, sia i prodotti interessati. In particolare, sarebbe emersa la possibilità di “ricostruire il percorso della tassazione allargando il campo dei soggetti tenuti al versamento, spostando la fase di immissione in consumo su tutta la catena logistica”. Oltre al produttore, quindi, potrebbero essere tenuti al pagamento anche i grossisti e le insegne della Grande distribuzione. Per quanto riguarda invece l’oggetto del tributo, l’ipotesi è quella di escludere i semilavorati in favore dell’introduzione di un criterio identificativo in base alle funzioni svolte e alle finalità.

Tutto è ancora molto fumoso, dunque, ma la preoccupazione cresce e coinvolge anche la distribuzione, in un periodo già tanto difficile per tutti.