Una fotografia completa del mercato beauty. E’ quella offerta dalle oltre 200 pagine del ‘Report Cosmesi’, elaborato da 24 Ore Ricerche e Studi (nuova area del Gruppo 24 Ore che realizza analisi dettagliate dei settori), in collaborazione con l’area studi di Mediobanca, mercato Italia. Scenari e previsioni per un comparto che, anche se messo a dura prova dall’emergenza Covid-19, può contare su una forte resilienza.
Lo studio descrive l’industria del beauty e il suo mercato, analizzando i bilanci degli ultimi cinque anni delle società quotate e non quotate, e propone un outlook di settore, realizzato da Strategic Management Partners, corredato da una ‘Ceo’S Agenda’.
Per cominciare, si stima che la produzione mondiale del comparto cosmetico valga 400 miliardi di dollari (oltre 351 miliardi di euro), con una spesa procapite di 66 dollari (quasi 58 euro). Nel ranking dei maggiori player mondiali, l’Italia, con vendite per 11,9 miliardi di dollari (quasi 11 miliardi di euro), occupa la nona posizione. La quarta se si considera la classifica dei produttori europei, con un podio occupato da Germania, Francia e Regno Unito. Basando però la graduatoria sull’export, con 5,4 miliardi di euro il nostro Paese diventa sesto nel mondo e terzo in Europa. Le esportazioni, infatti, sono sempre più rilevanti: se nel 2009 rappresentavano il 25,1% delle vendite, nel 2019 sono salite al 43,4%.
Secondo questo Report, l’intera filiera del beauty italiano, compresi i fornitori soprattutto di packaging, pesa circa 16 miliardi. Un numero decisamente più basso rispetto ai 33 miliardi indicati da Cosmetica Italia per tutta la catena della bellezza made in Italy. La Gdo rappresenta il canale principale di vendita, con una quota attorno al 45%, seguono le profumerie (20%) e le farmacie (18%). Durante il lockdown, l’unico canale in crescita (+37%) è stato l’ecommerce.
Analizzando nel dettaglio le aziende protagoniste del comparto, emerge che le imprese italiane con fatturato superiore a 10 milioni di euro sono 195, per oltre 39mila dipendenti e vendite pari a 12,1 miliardi di euro. Le attività produttive (6,4 miliardi) prevalgono su quelle commerciali (5,6 miliardi). Così come le aziende manifatturiere che producono a marchio proprio registrano un fatturato maggiore (4,4 miliardi) rispetto ai terzisti (poco più di 2 miliardi). Nell’ambito del commercio, i 3,4 miliardi di euro appannaggio dei grossisti ‘battono’ i 2,2 miliardi dei dettaglianti. I dati sui fatturati 2018, poi, danno come risultato la seguente classifica di player italiani: L’Oréal Italia con 870,4 milioni di euro; Intercos con 691,6 milioni; Kiko con 592,5 milioni; Sodalis con 422,2 milioni; Euroitalia con 395,5 milioni.
Una parte importante della produzione è rappresentata dalle imprese multiprodotto a controllo straniero, che vantano vendite per 1,5 miliardi, mentre la cosmesi naturale resta ancora una nicchia da 0,6 miliardi. Oltre un terzo della produzione, ben 4,3 miliardi di euro, deriva dalle realtà straniere in Italia, con 1,8 miliardi di quota francese. La presenza straniera è molto forte nel Bel Paese, rappresenta circa il 60% del giro d’affari italiano nel commercio; il 57% nella cosmesi naturale; il 50% nelle creme. E anche gli store al dettaglio di cosmesi multimarca sono in mano per oltre la metà a imprese straniere (55%).
Quanto al futuro, il Report segnala che se nel 2020 il fatturato dell’industria mondiale del beauty dovesse ripiegare quanto le previsioni del Pil (-4,5%), la produzione mondiale della cosmetica supererebbe i livelli del 2019 (circa 410 miliardi) solo nel 2022. Rispetto allo scenario pre-Covid, nel 2025 mancherebbero circa 40 miliardi di ricavi. In Italia, si ritiene che il lockdown abbia penalizzato soprattutto i prodotti il cui utilizzo ha risentito della limitata socialità (make-up e profumi), e quelli la cui diffusione è legata alle attività commerciali (linee professionali).
Le considerazioni sul futuro del beauty italiano, però, restano positive, perché il comparto gode di diversi punti in suo favore: la sua storica resilienza alle fasi recessive, la forte brand awareness di cui godono i nostri prodotti, la buona solidità patrimoniale delle imprese. Aggiungeremmo anche le ottime capacità imprenditoriali dei nostri manager, che sanno trasformare le sfide in opportunità.